IL TEMPO DELL’ABITARE
SOSPESO
Il pianeta ha vissuto indubbiamente un passaggio epocale della storia dell’umanità.
Abbiamo voluto incontrare Giulio Ceppi, architetto e designer, docente al Politecnico di Milano, e chiedere un contributo di visione per comprendere come la nostra cultura ha abitato il pianeta in questi mesi.


«La vera grande protagonista di questi mesi è stata l’imprevedibilità.
L’esperienza della pandemia ha dimostrato per l’ennesima volta come un piccolo moto localizzato possa oggi assumere alquanto velocemente dimensioni globali. Uno straordinario e devastante passaggio da onda a tsunami.
In breve tempo, l’intero pianeta si è trovato ad affrontare un nuovo modo di vivere la città: l’invisibile violenza di un fenomeno difficile da tracciare e perimetrare, ci ha reso tutti parte di un abitare sospeso; città vuote, abitabili solo individualmente, ognuno secondo le proprie attitudini, strumenti e visioni. L’anima più forte di questo tempo surreale è stata l’impotenza.
Non aver saputo riconoscere la violenza e la vastità del fenomeno, e aver scompostamente inseguito, anche con errori di valutazione, eventi che ancora adesso la classe politica e le amministrazioni fanno fatica a spiegare, ha generato una diffusa sensazione di disarmo.»
Quali le considerazioni dell’architetto che posa il suo sguardo sulle città della pandemia?
Quali le conseguenze immediate o a lungo termine che potrà comportare questo lungo intervallo temporale di sospensione?

«Dopo il Covid-19 le città fanno più paura. Sicuramente la pandemia porterà a un parziale ritorno all’abitare diffuso e alle campagne. Si troverà un nuovo equilibrio tra esodo e convergenza verso i centri urbani. I cambiamenti saranno molti, alcuni saranno tendenze quasi impercettibili, altri accelerazioni di mutamenti già in atto, altri fenomeni semplicemente a noi più evidenti, un’amplificazione di echi lontani.

Parliamo di smart working, acquisti online, digitalizzazione, gestione remota… Tutto acquista una nuova dimensione, e un nuovo significato.
E dal significato si passa anche al valore, perché un periodo di prigionia così lungo, nei nostri spazi, case, vie, cortili, ha offerto nuove prospettive valoriali.
Dal panettiere dell’angolo sotto casa, all’ortolano di fiducia che effettua consegne, al buon vicinato, cambia la prossemica nei confronti della parte di mondo raggiungibile, passando per assurdo attraverso le tecnologie digitali e le tecnologie ambientali; questi elementi sono entrati più o meno forzatamente nel nostro personale conteggio di opportunità quotidiane, oramai fortemente ibride, fatte di analogico e virtuale, atterrando sulla capacità di comprendere il valore di ogni elemento per utilizzarlo al meglio.»

Quale secondo te il ruolo della tecnologia in questi mesi di isolamento fisico?

«Abbiamo assistito a una meravigliosa manifestazione di quello che amo definire carattere latino, in uno scenario improvviso e improvvisato dove la tecnologia è divenuta lo strumento per avvicinare le persone anziché allontanarle, proponendosi come “alternativa obbligata”, o come ibrido di mediazione tra fisico e digitale. La tecnologia utilizzata dal basso al servizio delle persone, per unire e non per dividere, cambiando il valore della distanza interpersonale.
Vi suggerisco a tal proposito un bellissimo libro, un classico dell’antropologia sociale ma oggi di grande attualità: La dimensione nascosta di Edward T. Hall (Bompiani, 1968).»

Torniamo dunque a citare un tema a te molto caro, quello della via latina, una chiave di lettura dalle forti radici territoriali, con uno sguardo antropologico sulla società moderna?

«In alcuni dei momenti di vuoto di questi mesi, ho provato a riflettere sul presente guardando indietro nella Storia e tracciando una linea temporale che aiutasse a comprendere meglio cosa stesse succedendo. Sono andato a rileggere alcuni grandi pensatori del periodo classico.  

Dal IV secolo avanti Cristo, per il popolo greco, e poi per quello romano, lo shock più traumatico che un uomo potesse subire coincideva con l’ostracismo. Un esilio temporaneo di dieci anni inflitto a coloro che avrebbero potuto rappresentare un pericolo per la città. Da Cicerone a Lucrezio, tante celebrità della Roma Imperiale hanno subito individualmente quello che noi abbiamo subito a livello collettivo. Il pericolo si è impossessato della città e noi siamo stati esiliati, esiliati a noi stessi, paradossalmente.
Cosa facevano allora i Romani? Scrivevano e inviavano epistole, migliaia e migliaia di epistole per rimanere disperatamente collegati con il resto del mondo. E lo stesso abbiamo fatto noi: blog, social, mail, sms… per comunicare, informare, protestare, sdrammatizzare, anche ironicamente.
La tecnologia ci ha offerto una grande lezione: ci ha supportato, aiutato, ma come per la scuola, ha insegnato ai ragazzi come sperimentare in modo più consapevole l’utilizzo della didattica a distanza, anche per imparare come usare un mezzo potente, che va esplorato e conosciuto. Io stesso ho dovuto farlo con i miei 53 studenti al Politecnico, una scuola ibrida

E adesso?

«Io sto già sperimentando una serie di progetti dove il fattore relazionale e umano torna a esser al centro, con nuova prepotenza. Ricordo quando Achille Castiglioni affermava che progettare uno sgabello è immaginare il comportamento nuovo che lo sgabello permette ad altri di aver nella loro vita, non è disegnare un semplice oggetto in sé.
Questa esperienza darà nuovo rilievo al valore della qualità delle relazioni, senza dimenticare l’aspetto economico, politico, simbolico, affettivo… e il design rappresenterà sempre più una forma di reintegrazione terapeutica nel mondo post-shock, come forma di attenzione alle persone, non solo come esercizio di poetica formale. L’eccesso e il superfluo difficilmente verranno visti nella stessa luce di oggi e, mi auguro, si porrà in futuro maggiore attenzione al nostro rapporto con gli oggetti e con lo spazio: un mondo diverso ci aspetta, dove vi sarà la valorizzazione della modalità inclusiva e una profonda e diffusa democratizzazione della tecnologia. Speriamo sia davvero un mondo migliore e che si sia imparato tutti qualcosa da questa violenta e invisibile vicenda.»

share:

Articoli collegati

L’imprevedibile è una benedizione

“È nella crisi che nasce l'inventiva.”
Anche in piena emergenza Covid-19. L’incredibile storia delle valvole stampate in 3D per la respirazione assistita.

Ritorno alla terra

Oltre la “smart city”: grazie anche a tanti giovani imprenditori, la “smart land” è la via per lo sviluppo sostenibile che parte dalla terra e dai territori.

Lasciati ispirare da tutte le prossime storie di sostenibilità: rimani aggiornato sui nuovi numeri!

Iscriviti alla newsletter per ricevere mensilmente i contenuti di Innesti.

N° 1

imprevedibilità

Il futuro è imprevedibile, per fortuna.
linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram