Redazione interna

Lo chef
che fa la spesa 
in Amazzonia

Conversazione con 

A prima vista, Alex Atala - Milad Alexandre Mack Atala - sembra una rockstar: affascinante e cool. Brasiliano di origini palestinesi, classe 1968, tre figli, è considerato una delle menti più interessanti della cucina mondiale di oggi. Ma le due anime convivono complementari, perché la carriera di uno degli chef più amati al mondo è avvenuta per caso: partito per l’Europa per esplorare la cultura punk rock, la scuola di cucina cui si iscrive è solo funzionale alla permanenza, ma poi gli svela un’attitudine. “Non ho mai sognato di fare il cuoco”, dichiarerà al Financial Times.

Solo dopo aver lavorato in alcune delle più prestigiose cucine di Francia, Belgio e Italia, torna in Brasile, a San Paolo, per dare vita al suo progetto gastronomico e, nel 1999, con D.O.M. Restaurant inaugura una nuova era della cucina brasiliana.
D.O.M. sta per Deo Optimo Maximo - motto dei monaci benedettini - ma anche per Domus, la casa della gastronomia brasiliana moderna dove trovano spazio multiculturalismo e biodiversità.

Nel 2006 il ristorante entra a far parte della prestigiosa lista The World's 50 Best Restaurants e nel 2014, mentre il Brasile ospita i Mondiali di Calcio, arrivano due stelle Michelin.

Il segreto del suo successo sta nella passione per la cucina e soprattutto per gli ingredienti indigeni provenienti dall’Amazzonia. Un premiante tentativo di riconnessione tra la cucina e la sua terra, tra il territorio e le sue origini. Una scelta che punta alla salvaguardia dell’ambiente e al sostegno economico per la comunità locale: la cucina prende la forma di una vera e propria missione, sia dal punto di vista etico che dal punto di vista culturale.

Il suo messaggio è chiaro: “Take care of Amazonia”.

Una cucina che dia valore al prodotto e non all'atto del cucinare. Se si comprende che il valore primario risiede nella materia prima, la cucina assume un potenziale rigenerativo della connessione primordiale tra uomo e natura, basata su un equilibrio sano tra ciò che si prende e ciò che si restituisce.

«Il vero lusso sono gli ingredienti», sostiene Alex. «La biodiversità è una parola che ha poco valore quando esce dalla bocca, ma che ne ha uno enorme quando vi entra, perché racconta territori, microclimi, culture diverse; racconta la ricchezza vera, quella della biodiversità.»

«Oggi l’atto del mangiare si è sganciato dall’atto di procurarsi cibo. È evidente che abbiamo perso consapevolezza delle fasi precedenti.»
La responsabilità è il modo in cui l’uomo può e deve tornare a connettersi con gli ingredienti.

Il nuovo orgoglio carnivoro, insomma, si fa strada puntando sulla responsabilità; condivide l'idea del diritto degli animali da carne a una vita sana e quanto più possibile naturale, si accompagna alla cultura antispreco di sfruttare tutto l'animale e di fare arrivare nei negozi solo carne locale e da aziende agricole sostenibili. Atala ha un forte rispetto per la natura e per la vita, tanto più quando interrotta per il nutrimento dell’uomo.

“Lo chef che fa la spesa in Amazzonia” - così viene spesso definito - riscopre gli ingredienti caratteristici della dieta autoctona, i prodotti del territorio, andandoli a recuperare dai piccoli produttori. Tra gli alimenti esotici dimenticati che possiamo gustare nei suoi piatti si annoverano: le bacche di açai, la priprioca (una radice aromatica), il jambu (un'erba che provoca una sensazione elettrica e anestetizzante in bocca), il baru (un tipo di frutta secca simile all'anacardo), la pupunha (un frutto rosso molto simile a un pomodoro) e il cupuaçu (un altro frutto tipico dell'Amazzonia simile a una noce di cocco). Atala non manca, inoltre, di usare le formiche tra i suoi piatti che hanno lo stesso sapore dello zenzero e della citronella, ponendole generosamente su un letto di ananas.

Cacciatore, pescatore e grande conoscitore degli ingredienti dell’Amazzonia, Atala non indossa solo grembiule e cappello da chef, ma anche gli scarponi da trekking per accompagnare antropologi e ricercatori alla scoperta degli ingredienti da inserire nel suo menu - molti dei quali, per noi, dai nomi quasi impronunciabili.

Riconosciuto come uno dei migliori chef a livello internazionale, sei stato capace di far conoscere il Brasile, e la sua cucina, al resto del mondo. Ti ritieni un cuoco endemico?

«Il messaggio che ho sempre voluto diffondere con la mia cucina è l’importanza del territorio e della sua biodiversità. Se vado in Italia non è per mangiare escargot, se vado a Parigi non è per mangiare la pizza. È compito e dovere di ogni chef rendere omaggio e valorizzare i prodotti del posto, come tributo alla terra e all’economia locale.»

Quali secondo te i punti in comune tra cucina italiana e cucina brasiliana?

«San Paolo, dove sono nato e cresciuto, è una città con tanti italiani con forti contaminazioni.
Le analogie sono molte e soprattutto culturali, prima ancora che alimentari. Cambiano gli ingredienti, ma l’amore e il rispetto per il cibo richiamano le stesse tradizioni.»

Quali sono i tre piatti italiani che preferisci?

«Senza dubbio: spaghetti con la bottarga, bollito misto e orecchiette con le cime di rapa.»

Quale l’insegnamento principale che porti con te della cucina italiana?

«Dalla cucina italiana ho soprattutto imparato che “semplice” non significa anche “facile”. Ricordo ancora quando lavoravo in un ristorante pugliese e mi fu chiesto se sapevo fare le orecchiette; ovviamente sì, avevo detto. Quando, dopo un’ora, il padrone è tornato, si è messo le mani nei capelli e ha chiamato sua zia e sua mamma che, in pochi minuti, con una manualità incredibile, hanno riempito in poco tempo pianali di orecchiette. Indimenticabili. Mi sono sentito un incapace.»

Come uno chef può aiutare il pianeta?

«I cuochi possono fare molto per innescare il cambiamento. Il mondo dell’alimentazione ha un impatto notevole sulla società. La natura potrebbe sopravvivere senza l'essere umano. Ma non è vero il contrario. Per avere materia prima, e materia prima di qualità, dobbiamo assicurarci che le nostre terre siano fertili e che le comunità possano coltivarle. Il mio sogno è diffondere la cucina brasiliana nel mondo, il più possibile. Dare spazio e aiuto ai giovani cuochi del mio Paese. Far conoscere al mondo la nostra materia prima. Ma vorrei che ogni popolo si avvicinasse di nuovo al proprio territorio e lo valorizzasse, che lo apprezzasse di più. Secondo me, le ultime generazioni hanno perso uno strato di cultura e conoscenza che dovrebbe appartenere a tutti - di ciò che ci circonda e ci nutre.
Oggi sento che abbiamo la missione di riempire quel vuoto e far rinascere la cultura e la conoscenza.»

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