Intervista a Jock Zonfrillo: come ha codificato in chiave moderna la tradizione culinaria indigena, recuperando prodotti dalla storia millenaria.
“Torno dal pascolo, finisco di mettere dentro le pecore e di dar loro il fieno”, mi dice Juri Chiotti prima di iniziare l’intervista.
Sono circa trenta capi tra pecore e capre, e poi conigli, una quindicina di anatre e una ventina di galline. “Mi dà una grande soddisfazione allevare gli animali, è un mestiere che ho imparato sulla mia pelle e che mi piace quasi più di cucinare.”
Chiotti, a venticinque anni, è il più giovane chef stellato d’Italia quando conquista – insieme a Diego Rossi – la stella Michelin al ristorante Delle Antiche Contrade di Cuneo. Poi, la svolta: decide che il mondo patinato dell’alta cucina non fa per lui e si ritira in Val Varaita (Piemonte, di cui è originario) dove quattro anni fa apre Reis (che in occitano vuol dire “radici”) – Cibo libero di montagna. Oggi di anni ne ha 35, è soddisfatto della sua scelta, di essere tornato nei luoghi in cui è cresciuto e delle scoperte fatte durante il percorso. Il sogno, quello di un cibo “libero” e a impatto zero, è importante e come tutti i grandi sogni necessita di tempo, concentrazione, tenacia.
Piccola digressione turistico-ambientale: la Val Varaita ospita, tra le altre cose, lo spettacolare bosco dell’Alevè, ossia un bosco di pini cembri in purezza (èlvo in occitano significa “pino cembro”). È la cembreta più estesa delle Alpi e le sue origini sono antichissime. Per il valore immenso dal punto di vista naturale e ambientale è stato inserito nel Registro dei boschi da seme e infatti i pinoli vengono selezionati e conservati per la riproduzione. Ma torniamo a Chiotti, che in questi ambienti incontaminati ed eremitici ha deciso di dare vita al suo progetto di cucina di montagna e di vita.
“Vorrei che le persone comprendessero tutto il lavoro che c’è a monte di un piatto, in special modo la connessione con il mondo agricolo della produzione; così si acquisisce consapevolezza di cosa davvero è il cibo, e di quanta influenza ha sulle nostre vite. Forse ce ne siamo un po’ dimenticati.”
“Reis è un progetto di vita che mi fa stare bene e mi permette di vivere a contatto con la natura, sento di fare qualcosa sia per me che per la comunità in cui abito. Il mio sogno è l’autosufficienza, ma è un percorso lungo. Il mio obiettivo è dimostrare che si può vivere, produrre e avere un ristorante impattando il meno possibile sul territorio in cui vivi. E non parlo solo di cucina: vivere qui mi ha fatto scoprire quanto il ristorante sia un insieme di varie discipline, per esempio è in corso una ristrutturazione e quindi stiamo facendo uno studio anche sui materiali con i quali andremo a costruire il locale. Abbiamo selezionato del legno di recupero per il tetto che sarà in castagno. Non guardo più solo alla cucina, ma a tutto l’insieme.”
Questa è la serendipità di Chiotti che, tolta la giacca candida da chef con le stelle, ora concepisce un cibo che sia espressione della natura e del territorio, senza condizionamenti.
Sente forte la voglia e il bisogno di trasmettere le sue idee e il suo pensiero ai clienti e alle nuove generazioni – più attente ai temi ambientali, con meno pregiudizi e più sensibili alle questioni della sostenibilità.
“La scoperta più importante che ho fatto è quella di non essermi ritrovato da solo in questa valle, ma sono circondato da progetti che stanno nascendo o che sono nati nel corso di questi anni – anche ispirati da me – tutti rivolti verso la stessa direzione: ci sono comunità di sostegno all’agricoltura, c’è una ragazza che sta producendo linfa di betulla, la gelateria artigianale Fioca a Melle, il birrificio Antagonisti, e anche altri. Idee come queste si possono portare avanti solo in rete, in questo modo si triplicano le forze e si arriva più lontano.”
Libertà è partecipazione, cantava Gaber, e infatti solo i sogni partecipati poi possono realizzarsi.
“Più che di sostenibilità a me piace parlare di etica, vorrei che un giorno si arrivasse attraverso il buon senso e la cultura a mangiare solo cibi che siano stati coltivati, prodotti e cucinati in maniera etica. Dovremmo diventare tutti “eticariani”. Servono informazione trasparente, curiosità costante, consapevolezza quotidiana e noi cuochi abbiamo un ruolo importantissimo, siamo i primi a doverci dotare di questa etica condivisa e abbiamo il compito di raccontarla e farla comprendere ai nostri clienti che, oggi più che mai, sono pronti a tornare.”
Images Credits:
© Roberto Taddeo - Dispensa
Intervista a Jock Zonfrillo: come ha codificato in chiave moderna la tradizione culinaria indigena, recuperando prodotti dalla storia millenaria.
Il Policlinico di Milano, dalla storia della Ca’ Granda alla Fondazione IRCCS.
Un esempio perfetto di recupero delle origini per creare economia circolare.