Il visionario 
dal palato raffinato
Artusi oggi più che mai
Se per visionario intendiamo una persona che la vede lunga o, meglio, che riesce a plasmare la realtà con i propri sogni, beh Artusi è un visionario a tutto tondo. Il gastronomo forlimpopolese ha un obiettivo che diventa ossessione, ancora prima che una missione tout court: vuole offrire una lingua unitaria e una tavola comune agli italiani che ancora parlavano e mangiavano in dialetto.

Dal punto di vista gastronomico, la tavola comune che offre agli italiani è costituita dalle diverse preparazioni tradizionali, dalle tante eccellenze dei vari territori, da quelle diversità che sono un elemento imprescindibile dell’identità nazionale. Un concetto moderno e importante. Artusi si prende in carico il compito di ripulire il linguaggio della cucina dall’eccesso di francesismi perché è quello francese il modello predominante, cioè una lingua spesso ampollosa, per una briccica da nulla. Per quell’ironia che Artusi tanto amava, possiamo sostenere che pur soffrendo di seri problemi di vista - tanto che negli ultimi anni della sua vita la fedele Marietta era diventata i suoi occhi - Artusi aveva uno sguardo lungo e affilato. Un visionario dal palato raffinato.

Le intuizioni

Artusi parte da un presupposto salutistico. La nutrizione, essendo il primo bisogno della vita, è cosa ragionevole occuparsene per soddisfarlo meno peggio che sia possibile. Ma c’è dell’altro: una grande intuizione occupa la sua mente, ossia l’aspetto culturale della cucina, ciò che poi diventerà il focus della cultura materiale, la microstoria, l’attenzione alla vita quotidiana che porterà, molti anni dopo, a sostenere da parte di Claude Lévy-Strauss come il cibo possa essere considerato “la voie royale per la comprensione appropriata delle culture”.
Artusi, quando la medicina continuava a suggerire diete proteiche, comprende, meglio e prima di chiunque altro, l’importanza della pasta che, guarda caso, rappresenta più di ogni altra cosa la cucina italiana nel mondo. Artusi, suggerendola soprattutto a chi ha uno scarso desinare, anticipa quindi un gusto tutto italiano.

La forza innovativa

Quello che lo rende moderno e innovativo è sicuramente il metodo: egli guarda a un orizzonte italiano, a quell’infinita varietà di saperi e conoscenze locali, alle tante tradizioni senza indicare gerarchie, tenendo accanto a sé, grazie a Poste e Ferrovia, l’Italia intera, tanto da essere considerato un food blogger ante litteram.
Artusi, nonostante le difficoltà iniziali, diventa a poco a poco amico e intimo di casalinghe, massaie, contesse e marchese, professori di vaglia: oggi diremmo un influencer, con milioni di follower e di like.
Condivisione di saperi e libertà in cucina rappresentano una forza innovativa inesauribile.
Senza dire poi delle tre parole che campeggiano nel frontespizio sin dalla prima edizione: igiene, economia e buon gusto che, in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, più di un consiglio, risuonano come un monito per chi ha gli occhi puntati sul futuro.

Un libro senza tempo

Il manuale artusiano è sicuramente un long e best seller senza termini di confronto. Un successo che pare non tramontare e che, trattandosi di un ricettario, ha dell’incredibile. Ma questo è: dopo la prima edizione del 1891 ne seguono altre 14 curate direttamente dall’autore, per arrivare al 1961, quando scadono i diritti d’autore lasciati ai due fedeli domestici, con un numero di copie attestato a 492.000. Dopo di che il manuale continua a essere pubblicato, piratato, copiato e tradotto, senza soluzione di continuità, arrivando a un numero altissimo, non definibile, di edizioni e copie.
Le ragioni di questa giovinezza imperitura sono ascrivibili in gran parte alla capacità di interpretare lo spirito dei tempi, a cui possiamo aggiungere altri perché: intanto le ricette sono infallibili. Artusi prova e riprova in cucina con il cuoco forlimpopolese Francesco fino a quando la preparazione non è perfetta e può guadagnarsi quindi l’inserimento nel manuale. Infatti, egli raccomanda: il miglior maestro è la pratica.
Ma probabilmente la ragione più forte del successo è quella che abbiamo indicato come condivisione di saperi, l’apporto dei corrispondenti per cui, come è stato sostenuto, il manuale artusiano non solo è stato scritto per gli italiani, ma con gli italiani. 
Infine, se andiamo a sintetizzare i principi artusiani, scopriamo come questi siano di una stringente attualità: l’importanza della qualità delle materie prime, i prodotti stagionali, la cucina povera, il tutto condito con passione e semplicità. Mi pare che tutto ciò continui a ispirare sia la cucina domestica sia la cucina professionale.

Il futuro della cucina domestica

Il 21 febbraio 2020, data che nessuno può scordare perché ci fu il primo caso di Covid a Codogno, ero al Festival del giornalismo enogastronomico a Torino (imparai la ferale notizia al ritorno in treno) per un intervento proprio sulla cucina domestica, dove parlai del cono d’ombra in cui sembrava relegata la  pratica di casa, alla luce di dati che sembravano incontrovertibili, afferenti la ristorazione fuori casa, il delivery e l’asporto, e, quindi, come Casa Artusi continuasse la sua battaglia per promuoverne la più ampia diffusione.
Dai giorni successivi, come sappiamo, siamo stati tutti costretti a cucinare in casa: farina e lievito, massimi indicatori della pratica domestica, non si trovavano più mentre il valore di una zia, nonna, amica che dava qualche buon consiglio in cucina, diventava incommensurabile.
Un percorso obbligato di formazione, in cui siamo tornati a farci il nostro cibo, a chiederci qual era il prodotto migliore, a fare acquisti oculati e quindi a ridurre considerevolmente gli sprechi. Si è rivelata una competenza che era già dentro di noi, perché qualcuno non ha mai smesso di praticarla, mentre altri conservavano nella memoria visiva/olfattiva pratiche di casa, ricordi vivi che attengono al campo del desiderio, se pur gastronomico.
Naturalmente se tutti continueremo a mettere a frutto quanto abbiamo re/imparato non ci è dato sapere.
Non vorrei confondere desideri con realtà, ma io credo che la cucina domestica, le buone pratiche di casa, sapienti e virtuose ci accompagneranno sempre, anche quando questa pandemia, speriamo il prima possibile, verrà estirpata.

Casa Artusi e l’eredità del gastronomo

Casa Artusi, il centro di cultura gastronomica dedicato alla cucina domestica che ha sede a Forlimpopoli, continua, in suo nome, a valorizzare la cucina domestica italiana, anche come stile di vita. Continueremo con ogni mezzo e senza fare economia di energia a promuovere nel mondo il nostro patrimonio agroalimentare e questo nostro straordinario territorio, ricco di cultura e bellezza, in nome del miglior ambasciatore possibile, l’Artusi. Devo riconoscere che tanto abbiamo fatto: le tante traduzioni che si sono realizzate in questi anni, i tanti corsi e le azioni, gli eventi formativi in Italia e in tantissimi Paesi all’estero, ma direi ancora poco rispetto a quello che resta.
La cucina italiana è la più amata al mondo e merita di essere ben conosciuta. Casa Artusi, all’interno del Comitato scientifico ad hoc nominato, sostiene la proposta di riconoscimento di Patrimonio Immateriale dell’Unesco.
Un sogno nel cassetto, anche se Kant consigliava di tenerci solo le mutande: Casa Artusi e il territorio che la ospita virali nel mondo, con il bello e il buono a cui il visionario forlimpopolese continua ad educarci.

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