Conversazione con SimonPietro Felice
CAVIRO, da sempre in direzione ostinata e contraria
Uscire dalle convenzioni, pensare e realizzare progetti in controtendenza (o meglio, anticipare le tendenze) è nell’anima di CAVIRO. Da sempre. “Sicuramente c’entra il fatto che siamo in Romagna”, sorride SimonPietro Felice – direttore generale di CAVIRO – alludendo alla capacità dei romagnoli di saper unire, in modo unico e formidabile, l’immaginazione e il pragmatismo.

A guardarla bene, la storia di CAVIRO è infatti scandita da innovazioni, scelte singolari e strade intraprese con piglio pioneristico e innovatore. “Pensiamo al Tavernello o all’impostazione di un’economia circolare prima ancora che fosse coniato il termine”, dice Felice.

Se oggi il vino in cartone è parte integrata della nostra quotidianità, bisogna pensare che a inventare questo formato e di conseguenza questo stile di consumo fu proprio CAVIRO nel 1983. Il brik era un packaging alternativo, innovativo, geniale nella sua praticità – sia per il consumatore finale che per i supermercati che all’epoca erano alle prese con la gestione complicata del vuoto a rendere. Un prodotto, il Tavernello, che però non tutti compresero sin da subito. E tra le lungaggini legislative (per vedere approvato questo formato), lo scetticismo da parte di certi grossi gruppi di distribuzione, sembrava che il progetto dovesse essere abbandonato. “Qualunque altra azienda avrebbe accantonato l’idea, ma il management dell’epoca fu caparbio e testardo nel portare avanti la convinzione che non ci fosse nulla di meglio di un brik per conservare il vino: non fa passare la luce, ha una chiusura ermetica, si ripone comodamente in frigorifero, e i costi per trasporto sono ridotti. Bastò una catena di supermercati che accettò il prodotto per farlo decollare. La crescita fu fenomenale: furono venduti 5 milioni di pezzi nei primi 12 mesi. Da allora nessuna nuova referenza portata sul mercato ha fatto questi numeri”.

“La verità è che le persone che all’epoca guidarono CAVIRO sono state in grado di uscire dalla strada maestra che battevano gli altri. E scegliere strade di lunghissima percorrenza. Visionari”.

Una cooperativa di cantine di viticoltori è una geografia fatta di persone, territori, socialità: il suo agire sostenibile impatta per davvero e concretamente nell’ambiente, nella società e nel territorio al quale si riferisce. “CAVIRO quando iniziò la sua economia circolare lo fece per andare incontro a un’esigenza molto concreta dei propri soci. Queste grandi cantine sociali avevano il problema di smaltire gli scarti delle loro lavorazioni, così chiesero a CAVIRO, la capogruppo, di prendersene cura”. L’economia circolare di CAVIRO nasce quindi dall’esigenza di smaltimento dei sottoprodotti che diventa un’occasione per scoprire che quei sottoprodotti da problema potevano essere una grande opportunità: quella di ricavare altri prodotti, in un moto rigenerativo continuo. Semplicemente cambiando prospettiva.
 “Si iniziò a estrarre alcol, e a venderlo. CAVIRO si era fatta carico di un problema sociale riguardante lo smaltimento dei rifiuti e lo aveva trasformato in un beneficio economico per la propria base sociale. La questione ambientale arriva dopo, del resto 60 anni fa chi avrebbe mai pensato a risparmiare acque o a fertilizzare i suoli.”

CAVIRO però insiste su questa strada. E investe risorse e ricerca per estrarre sempre più dai sottoprodotti della lavorazione del vino. C’è un mondo da recuperare da quegli scarti e CAVIRO se ne accorge subito. Inizia a produrre bioenergia, fertilizzanti e man mano seguendo o anticipando le esigenze di un mercato che inizia ad allinearsi a quella visione originaria, contadina, piena di buon senso: non sprecare. In un circolo virtuoso che non finisce mai e arriva a oggi, quando CAVIRO riesce a recuperare addirittura l’anidride carbonica producendo un effetto opposto all’effetto serra.

“Noi usiamo degli enormi digestori per trattare tutti gli scarti liquidi dei nostri soci e di altre industrie agricole del territorio”, spiega Felice. “Riceviamo reflui, acque sporche, e li mettiamo insieme alla materia organica delle vinacce e bucce in enormi digestori. Questi digestori trasformano tutto in biogas e materiale organico che diventa fertilizzante naturale (compost). In pratica, entra un prodotto naturale ed esce un prodotto sempre naturale ma in altra forma. Il biogas viene messo in compressori che lo separano: da una parte il biometano e dall’altra anidride carbonica. Ecco, noi riusciamo a catturare quest’ultima evitando che venga dispersa nell’ambiente e la immettiamo sul mercato, per esempio ad aziende che producono bibite gassate o al settore ospedaliero.”

La sostenibilità deve essere sostenibile – è il mantra di Felice. “Se non è sostenibile non dura. Deve dare origine a qualcosa che si può chiamare ricavo o minor costo, in ogni caso un beneficio per l’azienda. Tutti i passi che fa CAVIRO portano un beneficio, o economico o sociale al nostro territorio. Il progetto della cattura della CO2, per esempio, ha un costo ma viene ripagato dalla sua vendita sul mercato e dal beneficio ambientale che se ne ottiene. Questo ci rende virtuosi. Perché c’è sempre un ritorno negli investimenti.”

Tra le parole della sostenibilità c’è senz’altro “rinnovabile”, una parola piena di aspettative, che guarda al futuro e ha in sé il germe del cambiamento. Come si fa a essere un manager rinnovabile?

“Se pensiamo alla vendemmia, ogni anno in Italia vengono raccolti 40 milioni di ettolitri di uva, se siamo in grado di curare suoli, aria e acqua, è una risorsa che si rigenera. E ogni anno si riparte da zero. Si ricomincia. Essere un manager rinnovabile vuol dire rimettere in discussione il tutto continuamente per trovare nuovi elementi di sostenibilità, perché le esigenze là fuori cambiano. Abbiamo l’esempio del fertilizzante naturale, che oggi stiamo producendo in grande quantità ma che fino a qualche anno fa era un prodotto inutile poiché la maggior parte dei terreni veniva concimata con il letame, oppure con prodotti chimici. Oggi che la coscienza ambientalista è più sviluppata, c’è mercato per questo prodotto e noi siamo stati capaci di anticipare questa esigenza. All’opposto, l’esempio dell’alcol denaturato: prima della pandemia era un prodotto snobbato e totalmente in disuso, poi improvvisamente è diventato fondamentale e abbiamo quindi convertito la nostra produzione e siamo riusciti a soddisfare le esigenze del mercato. Occorre quindi che il management sia sempre in ascolto, attento a come evolve la situazione. Da un lato saper fiutare e anticipare le tendenze, dall’altro essere reattivi sulla base di una precisa esigenza del mercato.
Un’azienda che fa della sostenibilità il suo dogma deve rimettersi in discussione e ogni volta partire un po’ da zero.”

Il concetto di sostenibile accomuna due aspetti: la capacità di resistere agli urti, ovvero la resilienza; e la capacità di pensare al domani e guardare lontano. In CAVIRO si cerca continuamente di pensare ai bisogni di domani partendo da ciò che esiste all’interno e il mondo della viticoltura offre tante opportunità (dalla CO2 ai coloranti naturali, dai polifenoli al resveratrolo), e si riesce a concretizzarli grazie alla capacità progettuale e finanziaria. “Per usare una metafora, è importante avere un porto dove voler arrivare e contemporaneamente essere pronti e capaci di resistere ogni anno a qualunque tempesta possa accadere.”

Una visione sugli anni che verranno: “Credo che terminata la pandemia ci sarà un ritorno fortissimo ai temi della sostenibilità ambientale che sono stati temporaneamente messi da parte, ma hanno influenzato tanti di noi e soprattutto tanti giovani. Queste tematiche torneranno con una forza maggiore di prima. Per quanto riguarda la nostra realtà aziendale, per esempio, la sostenibilità ambientale potrebbe diventare ancora più urgente e strategica anche rispetto ai temi economici o sociali. C’è poi un altro aspetto, economico e finanziario: ciò che è successo porterà a capire sempre di più il valore e l’importanza di aziende solide ed etiche, forti e resilienti. Il consumatore tenderà a scegliere aziende che danno continuità, con cui istaurare rapporti duraturi e solidali. In cambio, le aziende dovranno investire in customizzazione, regionalizzazione e conoscenza del territorio.”

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