consapevolezza:

la ricetta di PizzAut

“Osservavo incantato il sorriso speciale che illuminava il volto di mio figlio mentre impastava e preparava la pizza: stava giocando. E se questo gioco era in vista di ospiti e amici, l’impegno e la soddisfazione raddoppiavano.”

Così racconta Nico Acampora, papà di Leo, un bambino autistico, spiegando come è nata l’idea di PizzAut. Portare quel sorriso speciale fuori dalle mura di casa e renderlo contagioso.
Un momento di socializzazione, nella dimensione del gioco, con l’amore per il cibo e il valore dell’atto di preparare qualcosa per qualcun altro.
Nico ha lanciato un appello e ha trovato l’appoggio di tanti genitori di ragazzi affetti da autismo della provincia di Monza e Milano, oltre che di aziende e donatori privati che hanno scelto di sostenere economicamente l’iniziativa.

“Il 2 aprile è la Giornata Mondiale per la Consapevolezza sull’Autismo,” ci ricorda Nico, “così ho voluto lanciare una sfida: dimostrare che il 3 aprile qualcosa sarebbe davvero cambiato. Ho aperto una raccolta fondi su Facebook ed è andata benissimo, non solo in termini economici: molti locali si sono resi disponibili a ospitare i nostri ragazzi per farli allenare, ma anche per organizzare cene di finanziamento.”

Gli spazi e il tempo del cucinare si trasformano così in uno strumento di inclusione, i ragazzi iniziano dei corsi di formazione e si organizzano i primi eventi in cui cucinano per pubblici ristretti o serate dedicate; ogni tanto servono la pizza anche nelle mense scolastiche.
L’autismo non bisogna raccontarlo, bisogna farlo vivere. 
È qui che la squadra di PizzAut ha iniziato a girare l’Italia cucinando in vari ristoranti, accostando il personale presente per fare pizze e servirle: Liguria, Lazio, Marche, Sicilia.
Poi la squadra viene invitata e partecipa al programma Tú sí que vales e presenta il progetto al grande pubblico, rafforzando l’impegno ma anche l’autostima dei ragazzi: il primo grande passo per costruire e affermare la propria identità nel mondo.

“La difficoltà più grossa per le persone autistiche è quella relazionale”, racconta Acampora. “I ragazzi all'inizio avevano paura del pubblico. Ora l'hanno superata grazie alle tante serate che abbiamo realizzato e vissuto assieme in tutta Italia. I ragazzi grazie al lavoro stanno meglio, hanno più autonomia e maggiore rispetto di sé, costruiscono una propria identità, privata, lavorativa e sociale.”

L’inaugurazione del primo locale PizzAut, a Cassina de’ Pecchi, era prevista per il 2 aprile del 2020, ma il Coronavirus ha bloccato tutto. Il progetto è stato dunque temporaneamente reinterpretato in chiave itinerante, con un food truck. Poi, il primo maggio 2021, proprio nel giorno della festa dei lavoratori, il progetto diventa finalmente realtà.

“È simbolico che questa inaugurazione sia avvenuta nel giorno del primo maggio, perché il lavoro dà dignità, inclusione sociale, elimina le differenze. Il lavoro significa avere la possibilità di relazionarsi con gli altri.”

PizzAut non è una semplice pizzeria, ma un laboratorio di inclusione sociale e lavorativa per ragazzi autistici che qui, affiancati da educatori e professionisti, sono pizzaioli, cuochi e camerieri. Uno spazio di integrazione e relazione, ma anche un luogo dove gustare deliziose pizze, preparate con ingredienti biologici e di qualità.

“Facciamo una pinsa romana con una lievitazione di 72 ore e un’idratazione del 70-80% così che risulti ad alta digeribilità e a basso indice glicemico. Abbiamo anche delle proposte senza glutine e serviamo un caffè speciale ottenuto da una miscela prodotta da filiera equo solidale.”

Niente è lasciato al caso e per definire il ruolo di ciascuno all'interno del ristorante è stato proposto un percorso di formazione con il supporto di psicologi ed educatori. Perché non esiste l’autismo, ma esistono gli autismi. In questo modo i ragazzi hanno gradualmente e parallelamente costruito la propria identità professionale e quella sociale.

“Le mansioni - afferma Acampora - sono state assegnate e distribuite in base alle specifiche caratteristiche di ogni singolo, in base alle sue abilità, ma anche alle attitudini. C’è chi fa fatica a convivere con tante persone, chi non ama maneggiare un certo tipo di cose, chi preferisce lavorare in solitaria. Quindi basta individuare le caratteristiche di ognuno e valorizzarle. Chi trova sgradevole l’esperienza tattile di mettere le mani nell’impasto lo abbiamo destinato alla sala, mentre chi non ama stare a contatto con le persone sta in cucina.”

All’inizio i ragazzi non riuscivano a prendere gli ordini da soli e così la formula era quella del giro-pizza; se tutti i lati del tavolo erano occupati da commensali, non sapevano dove mettere i piatti e così son stati realizzati tavoli quadrati di 80 centimetri per lato dove, a 60 centimetri dal bordo, è stata tracciata una linea rossa: un’area comfort segnalata dove i ragazzi potessero appoggiare i piatti in arrivo.

Mobili senza maniglie e con meccanismo di rallentamento, cappe di aspirazione sovradimensionate per evitare sovra-stimoli olfattivi, grandi vetrate per sfruttare al massimo la luce naturale, soffitti insonorizzati, illuminazione progettata in modo omogeneo per evitare zone d’ombra, bicchieri e brocche non in vetro, né in plastica, ma in polipropilene infrangibile, pochi colori, non troppo forti e distribuiti in modo uniforme.

Il processo di cottura è pensato perché i ragazzi possano essere completamente autonomi: si appoggia la pizza su un rullo che la porta in un tunnel verso il forno. Una volta cotta, il rullo riporta la pizza fuori dal forno attraverso il tunnel: in questo modo non è possibile dimenticarsi la pizza dentro, e bruciarla.
Il ristorante è inclusivo anche con i suoi avventori. Non ci sono barriere architettoniche, i tavoli sono più alti per accogliere anche chi viene in pizzeria in carrozzella e sono presenti due bagni per disabili, uno nella zona femminile e l’altro in quella maschile.

Il risultato è “un locale dai tempi lenti dove non bisogna andare a mangiare una pizza quando si hanno cinque minuti e poi scappare, ma un locale dove trovarsi e ritrovarsi in una dimensione temporale fuori dalle frenesie che mettono in difficoltà chi è affetto da autismo, ma che sono fonte di stress per tutti.”

Oggi in Italia 1 bambino su 77 (età 7-9 anni) presenta un disturbo dello spettro autistico: sono dunque almeno 600mila le persone e quindi le famiglie interessate direttamente dall'autismo. Tra i ragazzi affetti da disturbi dello spettro autistico, fino a 19 anni è il 93,4% a frequentare la scuola, ma il dato arriva al 6,7% tra chi ha più di 20 anni. La quota di genitori di bambini e adolescenti autistici che prospettano una situazione futura di autonomia anche parziale per i loro figli è del 23%, ma si riduce ancora più drasticamente (5%) tra le famiglie che hanno un figlio autistico di 21 anni e più. Tra le persone con autismo dai 21 anni in su, il 50% frequenta un centro diurno, ma il 21,7% non svolge nessuna attività. Tra le ore dedicate all'assistenza diretta e quelle di semplice sorveglianza, i genitori delle persone autistiche e delle persone con sindrome di Down dedicano in media complessivamente 17 ore al giorno (fonte: Ministero della Salute).

L’iniziativa di PizzAut è preziosa, ma soprattutto è prezioso l’esempio che offre.
Nico Acampora si augura che il progetto si possa replicare e diffondere, una sorta di franchising del sociale.

Ogni anno il 2 aprile i più importanti monumenti italiani si illuminano di blu per informare la popolazione rispetto alle tematiche dell’autismo. Proprio in occasione di questa giornata, torna la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi #sfidAutismo di FIA – Fondazione Italiana per l’Autismo. Cosa vogliamo sperare per il prossimo 3 aprile 2023?

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