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Quando si parla di filiera del cibo si fa spesso riferimento al fatto che esso, come altre merci, colleghi tra loro persone sconosciute e lontane, creando itinerari e connessioni.
Più in generale si parla di filiera per indicare la catena di passaggi necessari alla produzione e distribuzione di un alimento, che molto spesso interessa paesi, luoghi e ambienti diversi.
Questi percorsi iniziano il loro tragitto sul campo e terminano sulla tavola.
Ma spesso non prendono in considerazione le strade secondarie che si dipanano, a livello di relazioni umane ed economiche, nelle case e nelle vite delle persone che partecipano attivamente a questa filiera. Un filo che si espande quindi all’interno delle famiglie dei lavoratori, si irradia lungo un territorio intero, tesse una tela, incrocio di tanti fili ed esperienze.
“Se pensi al cacao cosa immagini?”, mi chiede Monica Meschini, da oltre trent’anni chocolate taster, fondatrice dell’International Institute of Chocolate and Cacao Tasting e degli International Chocolate Awards. “Piantagioni sterminate che si approfittano e sfruttano il suolo, e non buon cacao che evolve in buon cioccolato. In realtà sono sempre di più i piccoli produttori che si associano e organizzano in cooperative, e da lì occorre partire per creare sostenibilità all’interno di questa filiera.”
Piccoli produttori, e anche tante produttrici che stanno pian piano ponendo le basi per un cambiamento importante che interesserà tutto il processo. Sì, perché sono tante le donne che partecipano, a vari livelli e in vari ambiti, a questa filiera ancora poco conosciuta e difesa. E in questo itinerario produttivo abbiamo un ruolo anche noi consumatori, che abbiamo in molti casi una conoscenza ancora superficiale in tema di cacao e cioccolato.
Per prima cosa la genetica. “Il frutto del cacao ha differenze genetiche vastissime, basti pensare che frutti raccolti dallo stesso albero possono essere diversi geneticamente.”
E ancora: “C’è tanta confusione in merito alla coltivazione del cacao, per esempio quando si parla di Criollo si intende una varietà speciale che allo stato puro rappresenta solo il 2% del cioccolato mondiale; molte volte questo termine è usato a sproposito come sinonimo di ʻautoctonoʼ.”
A questo punto della conversazione è necessaria una piccola digressione per spiegare i vari passaggi che trasformano il cacao in cioccolato.
Dopo essere stati raccolti, i frutti vengono lasciati riposare qualche giorno per fare in modo che avvenga il processo di fermentazione e la polpa si separi dal seme. In questa fase si definiscono già i precursori aromatici. I semi vengono poi distesi, rimescolati e lasciati essiccare per diventare fave di cacao. Una volta puliti, tostati e spremuti diventano o polvere di cacao o burro di cacao che, miscelato poi in varie ricette, si trasforma in cioccolato. Il momento del raccolto e quello della tostatura sono le due fasi salienti dal punto di vista aromatico poiché è lì che si struttura il sapore del cioccolato.
Per questo motivo, Meschini sostiene da sempre l’importanza della valorizzazione della cultura della lavorazione del cacao già sul campo e il ruolo fondamentale che il contadino ha per imprimere qualità al prodotto. “È necessario istruire i contadini e le contadine sul campo e iniziare a pagare il prodotto non solo in base al peso ma anche in base alla sua qualità. In questo modo saranno spronati a lavorare con conoscenza.”
“Oggigiorno i Paesi che producono più quantità di cacao sono l’America Latina e l’Asia, specialmente Vietnam, Thailandia e India. Ma a diverse latitudini cambia il ruolo e il tipo di coltivatore. In America Latina, per esempio, si tratta principalmente di piccoli produttori e produttrici che si associano in cooperative: lavorano tantissimo ma riescono a malapena a sopravvivere poiché il reddito del lavoro è molto basso; in Africa il contadino che lavora il cacao nel 90% dei casi non ha alcuna conoscenza di ciò che sta facendo, i raccolti non sono mirati e chi lavora viene pagato poco e a peso; in Asia la situazione è diversa e un contadino di Taiwan può guadagnare anche fino a 30 dollari l’ora.”
Qui entra in ballo il concetto di sostenibilità di filiera che per Meschini significa porre attenzione all’approccio etico su due livelli: pagare i coltivatori per la qualità del cacao che coltivano e dare visibilità e tutele alle donne.
A questo proposito, in occasione dell’edizione 2022 di Sigep (Salone Internazionale della Gelateria, Pasticceria, Panificazione Artigianali e Caffè), Meschini ha presentato Women for Cacao and Chocolate: “Si tratta di un movimento che nasce dall’amore e dall’orgoglio di chi lavora e vive nella realtà di questo settore, in ogni continente, e soprattutto in quelle zone dove il cacao viene coltivato, nei campi dove le donne lavorano quanto gli uomini, pur attendendo anche agli impegni quotidiani della casa e della famiglia, come moglie e come madre.”
L’obiettivo del movimento è quello di organizzare eventi internazionali, mostre fotografiche e appuntamenti speciali, mescolando lingue, culture, metodi produttivi e tradizioni diversi, mettendo in atto una resilienza e capacità multitasking comuni a tutte le donne.
Un itinerario geografico ma soprattutto culturale, per generare un cambiamento di valore: “Se vogliamo fare equi-trade e non fair-trade, senza fare l’elemosina, dobbiamo valorizzare la prima parte della catena, perché senza questa nulla esisterebbe. E bisogna coinvolgerla con gli altri anelli di questa stessa catena del cioccolato, con sensibilità, empatia, forza, elasticità e impegno, qualità tutte femminili!”
La storica Guida Michelin, dedicata all’accoglienza enogastronomica nel mondo, dopo oltre 100 anni guarda avanti: Marco Do racconta il nuovo riconoscimento.
Bottura alla regia di un laboratorio culinario a cielo aperto dove chef, artigiani e agricoltori propongono cibo e prodotti realizzati a mano con passione.