La storia di CORROCOLGUANTO e di chi promuove l’educazione ambientale con l’esempio. Un nuovo percorso. Non più lungo o veloce, ma migliore.
L’immagine che trasmette il concetto di rifugiato climatico è molto eloquente; non si fonda su alcuna norma presente nel diritto internazionale, ma ha comunque catturato l’attenzione dell’opinione pubblica ed è spesso utilizzato dai media e nei dibattiti.
La parola rifugiato infatti, secondo la Convenzione di Ginevra, definisce chiunque abbia varcato frontiere internazionali e non possa fare ritorno nel proprio Paese di origine “per il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche.”
Coloro che più precisamente dovrebbero essere definite come “persone costrette a fuggire nel contesto di catastrofi naturali e cambiamenti climatici” hanno comunque diritto alle forme di protezione riconosciute dalla comunità internazionale: chi fugge da una guerra provocata da scarsità di risorse dovuta alla desertificazione, ad esempio, ha diritto a protezione (asilo o sussidiaria).
Siccità, tempeste, inondazioni, temperature estreme; a livello globale negli ultimi 50 anni si è verificato in media un disastro al giorno legato a rischi meteorologici, climatici o idrici, con perdite di vite umane e ingenti danni economici: questo è quanto dichiara il report The WMO State of the Global Climate dell'Organizzazione Meteorologica Mondiale.
Dall'innalzamento dei mari al riscaldamento delle temperature fino agli uragani più selvaggi e ai tornado, gli impatti del cambiamento climatico sono vari e molteplici e sempre più frequenti.
Le conseguenze sulla popolazione di questo pianeta? Sono già in atto.
Secondo le previsioni ONU (IPBES - The Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), nei prossimi decenni rischiano l’estinzione quasi un milione di specie di animali e piante, più di quante siano mai state in pericolo durante l’intera storia umana.
Spostarsi, adattarsi o estinguersi, queste sono le tre possibili reazioni ai cambiamenti climatici.
Molte specie si sono già estinte negli ultimi decenni, altre si stanno già spostando ad altitudini o latitudini diverse, andando a cercare nuovi territori in cui le condizioni climatiche siano simili a quelle a cui si sono adattate nel corso della loro storia, alcuni uccelli migratori stanno cambiando le date di arrivo e di partenza anno dopo anno, le fioriture stanno anticipando, le specie animali montane si spingono, finché possono, in alta quota. Alcune specie, dette “generalisti mobili”, sono compatibili con tanti ambienti diversi e dunque si spostano con facilità (come volpi e cervi); per molte altre, invece, spostarsi non è una buona soluzione: alcune non riescono a farlo abbastanza in fretta, oppure non trovano aree ospitali raggiungibili da quelle in cui vivono.
E poi c’è la specie umana, quella probabilmente più adattabile dell’intero pianeta, dotata della straordinaria arte dell’arrangiarsi, che costituisce un prezioso elemento di sopravvivenza.
Ci abituiamo a eventi meteorologici anche violenti e reagiamo trasferendoci in zone a rischio meno elevato, troviamo il modo di adattarci a temperature estreme, accettando come normali i 27 °C di inizio aprile nel Nord Italia, dando per scontato che il corso d’acqua dietro casa straripi ogni fine autunno e non sorprendendoci se, detergendo il viso, il batuffolo di ovatta diventa nero pur non essendo truccati.
Del resto l’uomo ha già avuto a che fare con il cambiamento climatico, milioni di anni fa.
Anche per la specie umana, le conseguenze non impattano allo stesso modo su tutti i popoli e non tutti i popoli hanno le stesse possibilità e strumenti per reagire. Le aree in via di sviluppo sono tra le più vulnerabili, anche perché la loro sopravvivenza dipende fortemente dagli habitat naturali e dispongono di pochissime risorse per far fronte ai cambiamenti climatici: non hanno altra scelta che sfollare e migrare. Come se non bastasse, l’andamento degli esodi e la corsa per accaparrarsi le risorse naturali in esaurimento possono scatenare conflitti tra le comunità acuendo le vulnerabilità.
Ebbene: l’84% dei rifugiati globali arrivano da queste aree.
Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC) le grandi tempeste e le grandi alluvioni sono oggi gli eventi meteorologici che causano maggiori migrazioni nel mondo: in media ogni anno più di 20 milioni di persone si spostano per questo motivo, con grosse differenze di anno in anno a seconda della frequenza e della gravità di eventi disastrosi in aree molto popolate.
Nell’Africa subsahariana, oltre che in alcune parti dell’Asia meridionale e del Sudamerica, invece, le persone si spostano a causa di siccità e carestia. Negli Stati insulari dell’Oceano Pacifico, minacciati dall’innalzamento del livello del mare, il governo stesso sta ricollocando nell’entroterra le comunità che vivono sulle coste.
I migranti dei prossimi decenni proverranno principalmente da Nigeria, Egitto, Cina, Turchia, Algeria, Messico, Marocco e Venezuela. Tutti in cerca di una Terra (climatica) Promessa.
L’ultimo grande rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) dell’ONU, Climate Change: Impacts, Adaptation and Vulnerability, segnala che la maggior parte delle migrazioni climatiche attuali e dei prossimi anni avverrà all’interno dei confini dei singoli Paesi, con dinamiche interne che saranno prevalenti rispetto a quelle internazionali.
Ma esiste anche un altro tipo di rifugiati climatici, i migranti immobili: persone che vorrebbero andarsene dal proprio Paese, ma non possono farlo a causa delle difficoltà a raggiungere nuove destinazioni, o perché la regione dove vogliono andare non è disponibile ad accogliere altre persone. Questi cittadini intrappolati nel proprio Paese, in sofferenza, son destinati ad aumentare.
Nota dolente: molte nazioni stanno adottando politiche nazionalistiche e costruendo muri per trovare soluzioni al fenomeno migratorio. Pensiamo a quello famoso tra Stati Uniti e Messico, ma anche in India è stata costruita una recinzione a ridosso della frontiera con il Bangladesh, uno dei Paesi al mondo con la popolazione più vulnerabile all’aumento del livello del mare.
Ma non serve andare così lontano: dal 1990 a oggi, gli Stati membri dell’Unione Europea e dell’area di Schengen hanno costruito quasi 1.000 km di muri, barriere e recinzioni alle frontiere.
Le migrazioni di massa sono viste infatti come una minaccia per la sicurezza e il rischio diffuso è quello di lasciare in secondo piano la protezione degli esseri umani.
Partiamo innanzitutto dal constatare che i Paesi maggiormente esposti alle migrazioni interne sono anche quelli che storicamente hanno avuto minori responsabilità nel causare il cambiamento climatico.
Di questo tengono conto i negoziati internazionali sul contrasto al riscaldamento globale valorizzando gli aiuti noti come compensazioni ai «loss and damage»: le perdite e i danni causati dal cambiamento climatico ai Paesi che meno hanno contribuito.
L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) si occupa di fare convergere i fondi per migliorare la resilienza delle comunità vulnerabili, avviare attività sul campo per la prevenzione, la riduzione dell'impatto e la garanzia di risposte sostenibili per gli sfollati, oltre ad offrire supporto tecnico e legale per sviluppare nuove leggi garanti.
Le politiche green nella cooperazione internazionale puntano dunque a politiche di adattamento e trasferimento tecnologico, nel quadro dell’Accordo di Parigi: investire per uno sviluppo sostenibile nei Paesi più vulnerabili, per ridurre il numero di profughi ambientali. In alcuni casi però la migrazione sarà inevitabile.
Quello che bisogna evitare è di raggiungere dei tipping point per cui le comunità passino dalla migrazione volontaria e adattiva allo sfollamento forzato e accelerato.
Ancora una volta, cambiamento e migrazioni sono parte della storia e dell’evoluzione umana, finché non accelerano in modo eccezionale. “Tutto scorre” diceva Eraclito, non tutto corre.
Images Credits:
© Illustrazioni di Anna Formilan
La storia di CORROCOLGUANTO e di chi promuove l’educazione ambientale con l’esempio. Un nuovo percorso. Non più lungo o veloce, ma migliore.
Alla scoperta della storia millenaria sul rapporto tra uomo e foresta e la tutela dell’attuale area protetta che sorge sull’Appennino tosco-romagnolo.