In Italia la “rivoluzione verde” è già realtà. I cambiamenti che ci hanno reso ecomoderni.
Negli ultimi anni abbiamo visto nascere piuttosto rapidamente un grande numero di collezioni di abbigliamento etichettate come “green”, “eco” o simili.
Sentiamo parlare ogni giorno di più di moda sostenibile e consapevole, ma la verità è che è molto difficile per i consumatori destreggiarsi nella marea di informazioni in cui si imbattono, soprattutto online.
Nel Novembre 2019 l’Oxford Dictionary ha eletto “Emergenza Climatica” termine dell’anno, rimarcando la centralità di questo tema - non più solo una delle problematiche globali, ma sicuramente la più pressante dei nostri tempi.
Parallelamente Google Trends, il servizio del gigante americano che si occupa di monitorare le tendenze crescenti nelle ricerche degli utenti di tutto il mondo, ha registrato nello stesso anno un picco, poi notevolmente cresciuto negli anni successivi, di parole chiave riguardanti la moda etica.
Il settore dell’abbigliamento, infatti, è notoriamente una delle industrie più impattanti in assoluto, sia dal punto di vista ambientale che sociale.
Sebbene l’interesse verso queste tematiche stia dunque crescendo esponenzialmente, non è semplice orientarsi all’interno di tutte le nuove offerte del mercato.
Una questione in particolare rende piuttosto complesso questo processo: il greenwashing.
Con questo termine si definiscono quelle campagne marketing ingannevoli, che mirano a creare un percepito del brand molto attento alle questioni ambientali, quando invece ciò non trova riscontro nelle sue pratiche produttive.
Se da un lato i brand che cercano di dipingere un’immagine “green” di sé sono molti, dall’altro la consapevolezza del consumatore medio rispetto a queste tematiche sta cambiando, soprattutto nelle nuove generazioni: Millennial e Gen Z.
Proprio per via di questa crescente richiesta, sono molti i brand che ora offrono capi realmente prodotti nel rispetto dell’ambiente e dei lavoratori, cercando di minimizzare il più possibile le emissioni di CO2 lungo la filiera e comunicando il loro impegno in maniera trasparente.
Parallelamente, le innovazioni tecnologiche e scientifiche stanno rendendo accessibili materiali innovativi alternativi a quelli generalmente considerati più impattanti.
Sebbene ci si possa quindi trovare spaesati di fronte a un cambiamento di questa entità e velocità, è importante considerare il grande potere che i consumatori hanno in questo momento.
Così come è avvenuto in passato nel settore alimentare, quando si è cominciato a diffondere un approccio più slow al cibo, a preoccuparsi realmente di ciò che conteneva e a sollevare domande alle aziende, il prossimo passo è l’estensione dello stesso meccanismo al settore moda.
Cominciare a interrogarsi su come, dove e in che condizioni vengono realizzati i capi che indossiamo è sicuramente il primo, grande passo; il successivo è mettere i grandi brand nelle condizioni di rispondere a questi quesiti.
Un’azione semplice e alla portata di tutti, spesso sottovalutata, è quella di leggere l’etichetta e familiarizzare con fibre, provenienze e certificazioni.
Ma soprattutto, un armadio etico e a basso impatto non richiede grandi sforzi o investimenti, perché i capi più sostenibili sono quelli che già possediamo: ripariamoli, allunghiamo la loro vita, prendiamocene cura.
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In Italia la “rivoluzione verde” è già realtà. I cambiamenti che ci hanno reso ecomoderni.
Altri orizzonti. Un esempio su come perseguire con nuovi linguaggi la sostenibilità, dai progetti editoriali alle azioni a difesa del pianeta.