Custodi di biodiversità

“Sembra un’enorme arancia blu”.
Con queste parole i primi astronauti hanno descritto il nostro pianeta. Una visione poetica che parla della fragilità di un pianeta che, per anni, abbiamo più spremuto che protetto. Fortunatamente, i tempi stanno cambiando e il senso di responsabilità di ognuno cresce, seppure a ritmi non ancora sufficienti.

Il mondo agricolo è consapevole di essere doppiamente interconnesso con la necessaria tutela della biodiversità: sa di esserne dipendente e contemporaneamente assume il ruolo di custode.

Pochi grammi di suolo fertile contengono miliardi di batteri, centinaia di chilometri di ife fungine, decine di migliaia di protozoi, migliaia di nematodi, centinaia di insetti, aracnidi, vermi e metri di radici di piante. A questa biodiversità, poi, si aggiunge la cosiddetta "biodiversità associata", ossia la vasta gamma di organismi che vivono attorno ai sistemi di produzione agricola: si pensi agli insetti impollinatori, alle diverse specie vegetali, agli uccelli, rettili, anfibi e via dicendo che rendono sano un ambiente. Infine, c’è il sottoinsieme composto dalle piante addomesticate nel corso del tempo perché utili alla produzione alimentare, dalle specie di animali d’allevamento, dalle specie forestali e da quelle acquatiche.

Un patrimonio da tutelare, unica via per rendere i sistemi di produzione più resistenti agli shock e alle sollecitazioni, compresi gli effetti del cambiamento climatico.

Tra parchi e paesaggio

L’Italia è un Paese diffusamente abitato e questo comporta che il legame tra le attività umane e la conservazione della biodiversità sia indissolubile. Fortunatamente la straordinaria biodiversità del nostro Paese è stata piuttosto conservata, coniugando lo sfruttamento delle risorse con le esigenze della popolazione.

Il cosiddetto paesaggio agricolo nei secoli ha saputo costruire un mosaico, composto di ambienti diversi con funzioni diverse, che ha consentito la sopravvivenza di molteplici specie selvatiche e favorito la presenza di un numero elevato di endemismi. Contemporaneamente, l’intervento umano ha portato alla selezione di varietà vegetali e specie animali, le stesse che oggi rappresentano i prodotti identitari di cui siamo orgogliosi. Una diversità che purtroppo, negli scorsi decenni, abbiamo in parte perduto prediligendo un’agricoltura poco lungimirante. In questo senso, oggi, i parchi rappresentano degli straordinari laboratori per sperimentare un cambio di rotta, individuando la migliore integrazione tra agricoltura sostenibile e conservazione ambientale.

Per fare qualche esempio, nel Parco della Majella sono state censite e recuperate oltre 50 specie arboree, orticole e cerealicole. Nel Parco di San Rossore-Migliarino si creeranno aree sperimentali multi-gestione per confrontare vari tipi di agricoltura (estensiva, tradizionale, migliorata, agroforestazione) ed è stato recuperato un vivaio per la produzione di piante autoctone. Nel Parco delle Dolomiti Bellunesi, le componenti agro-silvo-pastorali sono protagoniste dell’attività di conservazione con progetti di selvicoltura per la componente boschiva e progetti di riqualificazione delle malghe, di gestione delle praterie e dei pascoli.

Sfide del XXI secolo

Nel 2050 l’incremento numerico e di benessere della popolazione richiederà globalmente un aumento del 70% della produzione di cibo (e del 100% nei Paesi in via di sviluppo) rispetto al 2009.
Già oggi, circa 2 miliardi di persone affrontano livelli moderati o gravi di insicurezza alimentare. Il maggior numero di queste si trova in Asia, ma in Africa il fenomeno si espande a velocità maggiore.
Ciò significa, assolvendo a uno degli Obiettivi dell’Agenda 2030, che la produzione alimentare dovrà crescere in modo sostenibile e più in fretta della popolazione. Davanti a noi, quindi, la sfida del futuro si dovrà muovere tra due punti fermi: garantire cibo sano a tutti e farlo senza “spremere” la nostra arancia blu.

Le soluzioni

Come CONAF (Consiglio Ordine Nazionale Dottori Agronomi e Dottori Forestali) abbiamo collaborato alla stesura della Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030 seguendo questi principi, ma soprattutto avendo ben presente che una sola strada è possibile: coniugare scienza, agricoltura ed ecologia. In sintesi, studiando il funzionamento degli agroecosistemi, dovremo saper integrare conoscenze, tecnologie innovative e pratiche agronomiche e silvo-pastorali per produrre bene e in modo sostenibile, con un approccio sistemico, interdisciplinare e transdisciplinare.
Punti cruciali saranno la tutela del suolo e la corretta gestione delle risorse idriche.

Già oggi, migliorando l’agricoltura, la selvicoltura e la zootecnia possiamo ridurre, a livello globale, le emissioni di 6,7 Gt all'anno. Se poi sommiamo i comportamenti dei singoli, le abitudini alimentari e di acquisto, si potrebbe ridurre sia la perdita che lo spreco di cibo, ottenendo una riduzione delle emissioni di altre 2 Gt all'anno.

È il solo approccio che ci consentirà di salvaguardare la biodiversità, mantenendo la disponibilità di cibo, gestendo in modo sostenibile le risorse naturali del pianeta, rispondendo al cambiamento climatico e anche rafforzando i territori e le comunità rurali.
Si può fare, ma dobbiamo investire con decisione sulle capacità dei professionisti dell’intera filiera agricola di trasferire nel campo innovazioni e conoscenza, abbandonando falsi miti e lo storytelling utile solo alle campagne… di marketing.

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