Vado in barca da sempre perché è la mia passione, la mia vita.

Che siano regate, trasferimenti o crociere, poco importa, mi piace stare in mare, navigare, raggiungere posti che non ho mai visto e conoscere persone e culture diverse dalla mia.
E se posso vivere queste esperienze percorrendo delle miglia per mare, invece che per cielo o per terra, sento che anche il viaggio fa parte dell’esperienza.

La passione per la vela è diventata gioco forza anche il mio lavoro; e come ogni lavoro, attraversa momenti positivi e altri negativi, successi e sconfitte accompagnati da entusiasmo e demotivazione. Ma tengo sempre ben presente la fortuna che ho di poter fare ciò che amo.

Conservo un bellissimo ricordo della mia prima stagione di regate oceaniche, era il 2010-2011 e avevo trovato un piccolo sponsor, un'azienda che si occupava di energie rinnovabili, solare ed eolico. La tipologia di azienda mi era subito parsa particolarmente appropriata ed è stato facile sposarne principi e mission. In fin dei conti dovevamo attraversare l'oceano con e grazie alla forza del vento, mentre il sole doveva brillare sui pannelli solari che ricaricavano le batterie della barca.  

Ma dieci anni fa il concetto di sostenibilità non era ancora all'ordine del giorno come adesso, anche se l'inquinamento dei mari, il surriscaldamento globale e l'insostenibilità della maggior parte delle attività umane erano già fortemente, esageratamente impattanti.
Strategie e progetti di intervento per alleggerire l’impronta ecologica della civiltà moderna erano ancora appannaggio di isolate realtà visionarie, associazioni virtuose, lungimiranti studiosi.
Sono gli evidenti e comprovati effetti dell’ultimo decennio che hanno costretto l’intero pianeta a concentrare l’attenzione sulla questione centrale, trascurata troppo a lungo: l’uomo ha maltrattato la Terra. Troppo. E troppo a lungo.

Non sono un esperto in materia, ma non è necessario esserlo per rendermi conto che già allora, purtroppo, il limite era stato già abbondantemente oltrepassato. Spero con tutto il cuore che non sia stato già superato anche il punto di non ritorno.

Riflettere su queste tematiche mi ha fatto ancor più appassionare all’austero stile di vita del navigatore, perché la vita su una barca è una delle più spontaneamente sostenibili che si possa immaginare.

La barca rappresenta un vero e proprio microcosmo, dove la condotta quotidiana deve essere per forza sostenibile.
Produci acqua potabile attraverso un dissalatore, e ovviamente il risparmio idrico è un’imposizione di sopravvivenza. L'energia di cui disponi la produci sfruttando pannelli solari, generatori eolici, idrogeneratori; ci sono accumulatori, ma la riserva di energia va comunque utilizzata sempre con attenzione. Sì, certo, ogni tanto viene attivato un alternatore per tenere a regime la carica delle batterie, ma stiamo parlando di pochi litri di gasolio per percorrere oltre 5.000 miglia.

Quanto al cibo, è ovviamente razionato. Non ci affamiamo, ma nemmeno programmiamo pasti pantagruelici. Stiamo veleggiando, viviamo giornate faticose e molto attive. Cibo nutriente, ma non pesante. E soprattutto, niente spreco. Si usa quello che si è stipato in cambusa, tutto.

Ovviamente, quando si fa il carico di provviste, si riduce al minimo il packaging, e quello che comunque portiamo con noi provvediamo a differenziarlo una volta a terra. Sperando poi che gli operatori del riciclo facciano il loro lavoro.

Non stiamo certo salvando il mondo, e tutta la nostra vita non la passiamo in mare, ma sono comportamenti virtuosi che impari a fare tuoi per poi riproporli naturalmente nella tua quotidianità, su una barca, a casa, per strada. Ogni piccolo gesto individuale contribuisce a migliorare il tutto, ogni goccia è un contributo di responsabilizzazione, e tante gocce fanno un oceano. Mi pare una metafora appropriata.

Tra il 2013 e il 2016 ho navigato su una barca sponsorizzata da Maserati con il mitico Soldini al comando. Grazie a lui abbiamo navigato in tutti gli oceani del mondo; sono stati anni molto speciali, ma forse anche quelli in cui più mi sono reso conto dello stato drammatico in cui versano i mari del mondo.

Ricordo come fosse ieri.
Durante il record del Pacifico da San Francisco a Shanghai, a 2.000 miglia dalla Cina e a 2.000 miglia dalla California, abbiamo avvistato di tutto: copertoni di auto, reti da pesca, plastica di ogni genere, un frigorifero.

In mezzo all’acqua profonda e (pensi) incontaminata, le correnti hanno trasportato per mesi, anni, gli oggetti più impensati. E mentre ti godi lo straordinario orizzonte di un tramonto sull’oceano, il tuo sguardo è tristemente attratto da macchie galleggianti che imbrattano la superficie.
Già, certo, la superficie. Perché questo è quello che incontro e posso avvistare da bordo. Non oso nemmeno immaginare cosa e quanto si è depositato sul fondo.

Ma c’è un altro macro-tema strettamente legato all’inquinamento, con cui noi navigatori abbiamo molto a che fare. I cambiamenti climatici.
Attraversando l'Atlantico un paio di volte l’anno e negli ultimi tempi ho potuto constatare un graduale cambiamento dei trend metereologici. In particolare, sono decisamente aumentati i fenomeni improvvisi e violenti rispetto a tempo fa.

Nel 2017 è entrata Enel Green Power come sponsor per un progetto di due anni; l'obiettivo era quello di affrontare una serie di regate oceaniche con una barca 100% eco-power, ossia una barca che potesse essere energeticamente autosufficiente dal punto di vista energetico.
Tutta la strumentazione di bordo era alimentata da energie rinnovabili, pannelli solari, generatore eolico, idrogeneratore e un motore elettrico, che alla fine però non è stato possibile portare a termine.

Il progetto barca eco-power è un progetto bellissimo, molti ci stanno lavorando ed è ancora da perfezionare.
Ma sono anche dell’idea che stiamo oggi assistendo ad alcuni tentativi di esasperazione del concetto di sostenibilità. Rendere più efficienti e meno consumistici molti dei processi industriali e delle pratiche quotidiane è certamente doveroso, ma vi sono alcune sperimentazioni che assumono il tipico aspetto dell’esercizio di stile, più per una visibilità che stupisca che per avviare una pratica riproducibile in scala e veramente efficace.

Penso che una modifica radicale dell’atteggiamento culturale e delle abitudini quotidiane possa già costituire un ottimo punto di partenza per introdurre il cambiamento. Lo stile di vita che ho quando navigo, provo a riprodurlo al meglio anche a terra. E provo a trasmetterlo a chi mi è vicino.

E proprio da e con questo proposito nasce il mio nuovo progetto AFR – Andrea Fantini Racing: un’avventura umana, un progetto sportivo, una sfida tecnica e un esperimento di sostenibilità ambientale in mare.

Facendo chiaro riferimento agli Obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU, l’idea è di costruire una barca, un Class40, con materiali riciclati e/o riciclabili, seguendo processi e tecniche che rendano la struttura a minimo impatto ambientale. Le dotazioni di bordo saranno poi, a seconda degli sponsor tecnici che aderiranno, sistemi e strumenti atti a ottimizzare il risparmio energetico, idrico e alimentare. Spingeremo al massimo il concetto di riduzione dello spreco e di autonomia energetica.

Purtroppo l’industria nautica è ancora poco sensibile alle tematiche ambientali e ogni anno i cantieri producono migliaia di barche in vetroresina o carbonio, ma oggi esistono materiali decisamente più sostenibili e processi a minor impatto ambientale.

Molte aziende del settore nautico si stanno impegnando sia per ridurre i componenti nocivi nelle resine, sia inserendone di nuovi non tossici.
Resine biocompatibili, ecocomposite e riciclabili. Sul mercato stanno comparendo scafi sperimentali costruiti con l’uso di fibre di canapa, sughero, lino e iuta, resine “bio”, derivati da frumento e anacardo, appendici e timonerie rinforzate con fibra di basalto.

Con questo tipo di barca, vorremo fare il giro del mondo.

AFR è una sfida e un esperimento, ma vuole anche essere un importante messaggio per l’industria nautica: l’opportunità di riscattare anni di inquinamento e porsi come esempio virtuoso per tutti gli amanti del mare, uno degli elementi più importanti del nostro ecosistema.

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