Estetica ed etica in un connubio virtuoso che, ben oltre le immagini stereotipate della pubblicità, ispirano la food photography firmata Roberto Savio.
“In un alveare dove vivono in media 50mila insetti, la fame di uno è la fame di tutti: non esiste che un’ape mangi più di un’altra ape. E quando il cibo scarseggia, tutto l’alveare muore di fame, in pochi giorni. Non è certo una scelta strategica – si potrebbe decidere di far sopravvivere qualcuno sacrificando gli altri – invece la famiglia delle api decide di estinguersi al completo, in una sorta di compartecipazione unitaria”.
La natura delle api è certamente particolare ma contempla una logica sociale data dalla capacità di fare gruppo identica da 60 milioni anni, senza mai aver subito mutazioni, e portare avanti la specie adattandosi a ogni tipo di ambiente.
Lucio Cavazzoni, presidente di Good Land, mi fa questo esempio per spiegarmi come una società debba necessariamente fare gruppo: in mancanza di una partecipazione completa, la parola sostenibilità fa il paio con indifferenza e perciò diventa una bugia.
Le parole che hanno una grande importanza e forza vengono continuamente svuotate del loro senso. Perché spesso fanno paura.
“Non è più sufficiente parlare di sostenibilità, è diventata una parola vuota, perché non basta tendere a un equilibrio in una situazione totalmente squilibrata, bisogna fare di più. L’agricoltura sta vivendo un tempo drammatico, i cambiamenti climatici innescano cambiamenti anche sociali e l’umanità intera deve rimettersi in discussione”.
Good Land è una giovane impresa che si occupa di rigenerazione rurale attraverso l’attivazione di economie legate alla terra e alle comunità che le abitano. Il motivo per cui esiste Good Land è attivare azioni di cambiamento ambientale e sociale.
“Io considero Good Land una sorta di avamposto, un progetto pilota che dimostra come sia possibile che la prosperità e il beneficio territoriale siano inseriti nel core business di una impresa agricola. Non solo nell’ambito del marketing sociale, della corporate responsibility o nel bilancio di sostenibilità – cose di cui di solito si occupano le agenzie di comunicazione – ma devono essere valori presenti e fondanti della missione aziendale, ponendo chiaramente al centro del business il contributo al territorio che vada oltre al prodotto e che preveda un impegno diretto, qualunque esso sia.
Il territorio deve essere ridiscusso in termini di comunità e di prosperità, non solo in termini di profitto o di tracciabilità. Quest’ultima è certamente un valore ma da sola è insufficiente: perché non sono le tracce che ci interessano ma chi fa parte di queste tracce e soprattutto come esso cresce, evolve e migliora”.
Serve un passo avanti: da filiera a filìa
“La filiera è un’idea industriale, in inglese si chiama chain – catena. E in una catena gli anelli sono uno uguale all’altro, sono messi in fila. Metto in discussione il concetto di filiera dove sono tracciati i passaggi perché non mette al centro il territorio e non si interroga a fondo sul valore da dare al territorio stesso. È tempo di passare dalla filiera alla filìa. Non abbiamo bisogno solo di filiere corte ma di imprese vicine e affettive, di cultura e conoscenza imprenditoriale diffuse. È il momento di avere cura, diventare amici, coltivare passione.
La filìa concettualmente sostituisce la filiera nel mondo produttivo e dei servizi. Non si tratta solo di solidarietà o quantomeno mecenatismo: cresce nelle imprese e negli imprenditori illuminati che vogliono andare oltre, perché hanno compreso il senso della misura e dello sviluppo nella reciprocità, rinunciando a una accumulazione infinita. La filìa è un sentimento che si fonda su una visione culturale di prospettiva e di ritorno nel lungo periodo”.
Questa non è poesia, ma è agroecologia.
L’agroecologia è la disciplina che studia l’applicazione dei concetti e dei principi dell’ecologia alla progettazione e gestione di sistemi alimentari sostenibili. Integrando ecologia, sociologia ed economia.
“L’agricoltura artigiana fa bene, perché vive la terra e non la coltiva solamente, non agisce sul prodotto ma agisce per nutrire la terra. La produzione artigianale non è necessariamente piccola, ma è quella dove interviene l’uomo, dove interviene l’umanità, e si cerca di dare valore al territorio senza pretendere omogeneizzazione e standardizzazione a tutti i costi.
Personalmente, sono fortemente preoccupato dall’industrializzazione eccessiva dell’agricoltura a cui stiamo assistendo, dove l’uomo non esiste più, ma ci sono macchine che piantano, nutrono e raccolgono frutti da cloni di piante iperproduttive per abbattere i prezzi e fare del consumatore finale non altro che un anello della catena, della chain. Se abbiamo un prodotto alimentare completamente industrializzato poi si industrializza anche chi lo consuma”.
La forma della pianta è sempre una forma circolare
“Il cibo può essere una cosa rivoluzionaria per rilanciare l’artigianalità, la territorialità e il ruolo fondamentale dell’uomo per il mantenimento della terra, e la cura dell’ecosistema. Il paesaggio rischia di scomparire se non si avrà considerazione anche del suo elemento estetico e naturalistico, oltre che di salubrità.
L’agricoltura industrializzata non è bella, non è piacevole, non è fruibile o visitabile.
Le coltivazioni intensive non permettono agli ulivi di invecchiare, ai meli di sviluppare la loro chioma rotonda – circolare, non è un caso! – e a ogni pianta di sviluppare la propria forma originaria.
Con le piante secolari si innesca una relazione ma di cosa si nutre il tuo spirito guardando un ulivo nanizzato? Lo abbracceresti? Ti senti parte di questo?”
L’estetica del vivere
“Tutto ciò si chiama estetica ma anche interdipendenza, partecipazione. Secondo me l’estetica è l’etica del sentirsi parte, del vivere. L’estetica non è un sovrappiù ma è la nostra capacità di vivere o di imparare a con-vivere e conoscere la relazione che ci lega alla natura e agli altri esseri viventi”.
Estetica ed etica in un connubio virtuoso che, ben oltre le immagini stereotipate della pubblicità, ispirano la food photography firmata Roberto Savio.
Il bello e il buono di Food for Soul, il progetto dello chef italiano più famoso al mondo che unisce recupero delle eccedenze alimentari e inclusione sociale.