PACKAGING COME DRIVER DELLA TRANSIZIONE
IN CORSO

L’imballaggio è stato il primo prodotto non pericoloso normato, insieme al proprio rifiuto, da una direttiva comunitaria degli anni ‘90 (la 94/62) che ha in sostanza obbligato tutti gli Stati membri ad adottare norme ispirate al principio della responsabilità estesa dei diversi attori che costituiscono la sua filiera.

Stiamo quindi parlando di produttori, importatori, commercianti e utilizzatori di packaging (quindi tutte le imprese che per commercializzare un rubinetto o un sushi devono usare imballaggi). Un immenso mondo di imprese che nel giro di pochi anni ha dovuto fare i conti con principi ambientali e responsabilità gestionali ed economiche che ne derivavano.
Ho provato come designer fin da subito molta curiosità verso questo universo di attori perché il packaging è costituito da una tale varietà di materiali e tecnologie da non annoiarmi mai.
La sfida da affrontare era molto complessa, anche perché dall’impegno di questo insieme di imprese è derivata la raccolta differenziata urbana, con cui oggi serenamente conviviamo.
Trent’anni fa era quasi inesistente (salvo che per vetro e carta), era un’invenzione da costruire.
Oggi è assodata, matura, produce benefici ambientali, posti di lavoro, risparmio di risorse e di energia, riduzione di emissioni dannose…
E pensare che tutto nasce dagli imballaggi!

Infatti nella raccolta differenziata urbana, e quindi più iconica, ci finiscono proprio i rifiuti da imballaggio. Solo successivamente sono nate le raccolte distinte di altri prodotti o filiere (alimentare, tessile, elettrica/elettronica, arredamento, ecc.).
Per cui agli imballaggi va il merito di aver dato il principale impulso alla cosiddetta green economy, cioè l’industria del riciclo, che esisteva già ma non aveva ancora assunto connotati di sistema industriale come poi è avvenuto dagli anni 2000 in avanti.
Dalla fine degli anni ‘90 di imballaggi si è iniziato a parlare quindi in ogni consesso pubblico dedicato a temi ambientali e nel giro di pochi anni sono diventati anche il principale nemico dell’ambiente. Questa è stata per anni la percezione diffusa che ha accompagnato questi prodotti, il cui principale difetto è - e resta - quello di diventare presto UN RIFIUTO.
Condannato quindi a essere una minaccia ambientale, anche perché pervasivo e vicino ai cittadini, cioè presente in tutte le spazzature domestiche.

L’imballaggio però è anche un prodotto. Neppure semplice bensì complesso: si basa infatti su tecnologie sofisticate e avanzate e deve in pochi centimetri quadrati condensare performance e tante informazioni.
Ed è anche etico, perché troppo spesso dimentichiamo che le sue capacità di conservazione degli alimenti permettono anche di non sprecare cibo e migliorarne durata, trasporto e conservazione.
Tuttavia la sua cattiva percezione ha determinato una progressiva corsa ai ripari da parte dell’industria del packaging, sollecitata e sostenuta a tale scopo anche dal Consorzio Nazionale Imballaggi, CONAI.
Esso ha investito risorse per aiutare le imprese a produrre e utilizzare imballaggi meno pesanti e più facilmente riciclabili, ricorrendo anche a nuovi materiali di origine rinnovabile (specialmente biodegradabili e compostabili).
Tutto questo non si compie in pochi mesi.
La ricerca necessaria a realizzare packaging meglio congegnati richiede anni.

Noi lo percepiamo quasi solo come uno stupido rifiuto di cui preoccuparci, ma di fatto esso è il vero venditore silenzioso: descrive il proprio contenuto e anche il racconto dell’impegno delle aziende nel miglioramento del loro impatto sull’ecosistema e riporta sempre più claim ambientali (per legge il materiale di cui è fatto, e dall’anno prossimo è obbligato a riportare anche informazioni su dove/come conferirlo come rifiuto) e certificazioni (laddove esistenti).

E tutto questo avviene senza perdere appeal sullo scaffale: il packaging è da tempo entrato a far parte del marketing mix, come componente trasversale rispetto al prodotto, alla distribuzione e alla comunicazione; è ormai una delle più importanti leve promozionali. Un pack originale e innovativo può accrescere il valore di un prodotto, rendendolo più visibile e più desiderabile di altri. Il prodotto si manifesta e appare attraverso la confezione che diventa così elemento fondamentale nell’esperienza di shopping, stimola la sfera emozionale del consumatore e contribuisce alla gratificazione nell’atto di acquisto.

La differenza sta negli elementi che i creativi hanno a disposizione: font, loghi, colori e immagini devono essere combinati in maniera strategica; tutti elementi in grado di suscitare nel consumatore emozioni e sensazioni positive tali da influenzare la cifra che è disposto a spendere per l’acquisto di un prodotto. Il graphic design per il packaging richiede una vera e propria analisi psicologica del cliente, che deve essere stimolato a tutto tondo. L’intero spettro sensoriale deve essere soddisfatto.

Tante responsabilità a cui si accompagna una ricerca sempre più spinta di materiali non solo riciclati ma anche a base di risorse rinnovabili originate da scarti agricoli. Una rincorsa senza sosta!

E nel frattempo quali nuove caratteristiche tra etica, sostenibilità e marketing dovrà assolvere il packaging per accompagnarci nella transizione ecologica?
I segnali che vedo mi fanno pensare che diversi sforzi progettuali e applicativi andranno nella direzione del riutilizzo. I tempi sono cioè maturi per tornare a investire in imballaggi capaci di più cicli di impiego. Questo è già vero per quelli da trasporto/logistica (i cosiddetti terziari) ma diventerà più frequente anche per i primari. Erogare infatti merci sfuse, laddove possibile, è diventato un must green virale. Nascono punti vendita caratterizzati da questa cifra identitaria, lo sfuso si allarga nei contesti urbani grazie a case dell’acqua e bancomat del latte, nei parchi e nelle aree protette si gareggia a chi propone sempre più azioni di refill, spesso accompagnate da divieti di prodotti monouso.
Sfuso e riutilizzabile, pur essendo questioni distinte, per alcuni beni quali detersivi, acqua, latte e stoviglie rendono necessario un ricorso al riutilizzabile che quindi connoterà una nuova generazione di contenitori atti a compierlo.
Ecco quindi che il packaging sostenibile del futuro diventerà anche ricaricabile.
Ma oggi gli imballaggi, grazie a nuove tecnologie di stampa e riconoscimento, potranno diventare più facilmente leggibili dai lettori ottici che a fine vita li indirizzano al riciclaggio. Questo è un settore in movimento che potrebbe regalarci ampie sorprese nel giro di poco tempo.
Un’altra innovazione che li riguarderà è quella che vede alcune tipologie di cassonetti urbani in grado di leggerli, quindi identificarli come materiale e peso, e magari attribuire al loro corretto conferimento un minor impatto, calcolato in CO2 evitata. Tutto ciò già oggi può anche, di conseguenza, accreditare un valore etico e ambientale spendibile ai comportamenti virtuosi.
Gli imballaggi quindi come un vettore e un abilitatore di innovazioni tecnologiche e di comportamento, in linea con la transizione che è già tra NOI.

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