Ritorno al duca

Da un archivio di bolle papali, bolle imperiali e lasciti, il futuro del policlinico in un’ottica perfetta di economia circolare.

Sono arrivato alla Ca’ Granda come consigliere d’amministrazione.
Ero un architetto in un mondo sanitario e questo mi spaventava: quale valore aggiunto avrei mai potuto portare?

Girando nell’archivio amministrativo storico della Ca’ Granda e guardando i documenti, ho scoperto che questo è un ospedale un po’ speciale: racchiude un mondo incredibile che riguarda i beni culturali, l’arte, la bellezza, l’agricoltura e l’ambiente.

Ha una storia unica, che non esiste in nessun altro ospedale al mondo.
L’Ospedale Maggiore, oggi Policlinico di Milano, è uno degli ospedali più antichi d'Italia, fondato dal duca Francesco Sforza nel 1456. L’edificio è situato tra via Francesco Sforza, via Laghetto e via Festa del Perdono, a ridosso della basilica di San Nazaro in Brolo. Opera dell'architetto fiorentino Filarete, e uno dei primi edifici rinascimentali a Milano.

L’ospedale si guadagnò l’appellativo di “Ca’ Granda de’ Milanesi”, sia per la qualità dell’accoglienza riservata ai pazienti di ogni condizione sociale e provenienza, compresi forestieri e stranieri, sia per la capacità di attrarre l’opera dei volontari e le donazioni dei benefattori.

Si faceva gara a donare all’Ospedale fin dalle sue origini: chi dava uova e galline per procurare cibo ai pazienti e chi, come il Papa, donava terreni, non solo per dare un reddito all’Ospedale, che li affittava, ma anche per coltivare erbe medicinali, alla base delle cure in quei secoli, e allevare animali.
Tutto questo riusciva a soddisfare anche le esigenze dell’Ospedale che non solo curava, ma dava asilo alle persone indigenti.

Continuando il mio viaggio nell’archivio amministrativo, che racchiude tutti i documenti che riguardano l’Ospedale dalla sua fondazione a oggi, ho trovato dopo le bolle papali quelle imperiali.
A metà dell’800 quando Napoleone, allora generale, venne alla conquista della Repubblica della Serenissima, si accampò nell’Abbazia di Mirasole a Opera, vicino a Milano. Per curare i suoi soldati, chiamò i medici della Ca’ Granda. Una volta tornato in Francia, ricordandosi delle cure ricevute, decise di donare all’Ospedale l’Abbazia di Mirasole e tutti i terreni agricoli intorno, con una bolla imperiale.

Quindi tra bolle papali, bolle imperiali e lasciti di diversi nobili e persone importanti che hanno fatto la storia di Milano, a partire da Bernabò Visconti fino ai giorni nostri, il patrimonio del Policlinico cresce così tanto da arrivare a 8.500 ettari (circa 85 milioni di metri quadrati, di cui l’1% edificabile, con quasi 100 cascine) di terreni agricoli, diventando il principale proprietario terriero su territorio nazionale.

Quando sono diventato Presidente, nel 2011, la situazione era critica: l’Ospedale aveva affittato a canoni bassi i terreni, per lunghissimi periodi (30 anni); in cambio, i conduttori avrebbero dovuto occuparsi della manutenzione che sarebbe altrimenti toccata alla proprietà.

La situazione era davvero difficile: contratti d’affitto lunghissimi (per fortuna i primi trentennali erano in scadenza) e investimenti mai fatti, tetti con amianto, affitti bassi, tanti terreni agricoli resi edificabili; l’unica mappa dei nostri possedimenti era un lucido con segnate ancora a china le proprietà.

Non avevamo un database catastale, nulla di digitale e un patrimonio in teoria a reddito, ma che perdeva 150.000 euro all’anno.

Ma riscoprendo e studiando la storia della Ca’ Granda mi è venuta l’idea di ritornare alle origini recuperando quello che era il ruolo dell’Ospedale: abbiamo creato una Fondazione ad hoc, la Fondazione IRCCS Ca’ Granda, e in cinque anni, grazie a uno statuto dedicato e un gruppo di persone adatte a gestire un simile patrimonio, e con grande entusiasmo, siamo riusciti a mappare tutto e man mano che scadevano i contratti venivano anche verificati gli impegni presi su manutenzioni e riqualificazioni. Ci siamo messi accanto ai nostri conduttori e abbiamo ragionato insieme su quello che oggi era necessario fare.

Sistemati i canoni di affitto, le mancate manutenzioni, la due diligence e creato un database catastale digitale e accessibile a tutti, il passo successivo è stato quello di fare cose belle: siamo un ente etico quindi dobbiamo fare cose etiche sul territorio, non depauperarlo o rovinarlo.
Abbiamo lavorato con i nostri conduttori per cercare di creare un’agricoltura più sostenibile attraverso un’accademia che insegna loro come poter fare, dotata di un terreno/palestra di 13 ettari dove imparare a coltivare anche in modo biologico, puntando sull’agroalimentare.

Non contenti, abbiamo pensato di fare anche prevenzione producendo un cibo più sano e sicuro.

Grazie ai documenti ritrovati nell’archivio, sappiamo che l’Ospedale produceva il cibo per i pazienti e gli operatori sanitari. Non a caso tutte le cascine erano a un giorno di cavallo, per evitare che il cibo arrivasse deperito. Quindi oggi abbiamo recuperato questa tradizione, ma in chiave moderna: produciamo cibo sano e sicuro perché garantito dai nostri medici nutrizionisti e a Km 0.

Latte microfiltrato e riso biologico prodotti dagli agricoltori dell’Ospedale Policlinico sono tornati nella mensa dei degenti ricoverati. All’interno della Clinica Mangiagalli abbiamo allestito un punto vendita in cui è possibile acquistare riso, latte, gorgonzola, yogurt e altri latticini prodotti nelle cascine dell’Ospedale. Alcuni prodotti sono stati anche inseriti nei canali della grande distribuzione.

Tutto il ricavato, come tutto quello che percepiamo dai nostri affitti, torna all’Ospedale come fondi per la ricerca. Un esempio perfetto di economia circolare!

share:

Articoli collegati

Serendipity e perseveranza, così hanno fatto di me lo chef della cultura aborigena

Intervista a Jock Zonfrillo: come ha codificato in chiave moderna la tradizione culinaria indigena, recuperando prodotti dalla storia millenaria.

E se diventassimo tutti “eticariani”?

Perseguire un grande sogno: quello di creare la cultura di un cibo “libero” e a impatto zero.
Juri Chiotti, il più giovane chef stellato d’Italia, si racconta.

Lasciati ispirare da tutte le prossime storie di sostenibilità: rimani aggiornato sui nuovi numeri!

Iscriviti alla newsletter per ricevere mensilmente i contenuti di Innesti.

N° 4

SERENDIPITÀ

La fortuna è un’attitudine.
linkedin facebook pinterest youtube rss twitter instagram facebook-blank rss-blank linkedin-blank pinterest youtube twitter instagram