Conversazione con Oscar Farinetti

Mi reco nella terra che è stata dei miei avi e in particolare del mio grande nonno Bartolomeo, il contadino. Il posto della mia infanzia. Della mia gioia spensierata.

Le Langhe ora sono il territorio più bello del mondo, il più ambito, il più richiesto, visitatissimo. Le stesse che fino a poco tempo fa (non più di 50 anni) erano le terre della malora, della desolazione, della scarsità e della povertà. La regione dove il lavoro della terra bassa e amara, che spezzava la schiena, non dava nulla. Oggi sono quelle del Barolo, del tartufo bianco, della nocciola rotonda e gentile, dei formaggi sopraffini, della razza piemontese, dei resort di charme e dei ristoranti stellati. Vado spesso in visita, perché mi piace e perché ho una vigna, ciò che mi resta di tutto il mio passato. Produco Arneis, il vino che era l’aperitivo di mio nonno: due dita (una stisa) nel bicchiere, appena prima di mettersi a tavola per il pranzo della domenica. In realtà non lo produco io, ma il mio socio, Oscar Farinetti, il noto fondatore di Eataly. Lo incontro presso l’Agricola Brandini, la cantina dove il vino “Bartolomeo” viene creato. A tavola, con il salame, la robiola di Roccaverano, il pane e l’Arneis, gli faccio alcune domande sul suo ultimo lavoro letterario: il suo libro dal titolo Serendipity.

Caro Oscar, ma uno che le ha azzeccate tutte può affermare che sia bello sbagliare?

Oscar: Non è vero che non sbaglio, lo faccio sempre, commetto una quantità di errori, anche macroscopici. Ma spesso è da quegli abbagli che nascono le più grandi fortune.

 

In che senso?

Oscar: È semplice, mi equivoco, lo facciamo tutti. Sono imperfetto, siamo imperfetti. Ma non è un male, anzi. La perfezione non esiste e, se mai esistesse, sarebbe noiosa. Avremmo già detto e fatto tutto. Saremmo privi di stimoli. Fai una cosa, è giusta! Tutto finito. Per crescere servono i guai. Gli errori ci spronano a migliorare, per migliorare occorre darsi da fare, chi fa sbaglia. E poi esistono le fatalità, eventi indipendenti dalla nostra volontà, con i quali dobbiamo convivere e adattarci, magari prendendo nuove strade. A volte si verificano circostanze che cambiano il corso della storia.

 

Non sapevo fossi fatalista.

Oscar: La sorte fa parte della nostra vita. Quella meteorite, dal diametro di circa 10 km che, 66 milioni di anni fa, si infranse nei pressi dello Yucatan in Messico, provocò quasi certamente l’estinzione dei dinosauri, fino ad allora padroni incontrastati del pianeta. Se quel corpo celeste non si fosse abbattuto sulla Terra probabilmente noi, gli esseri umani, non esisteremmo.
Insomma, da circa 3 miliardi di anni, cioè da quando sono apparsi esseri viventi sul pianeta, una molteplicità di eventi fatali, errori e adattamenti hanno prodotto un risultato magnifico: la nostra stessa vita.

Non può essere solo questione di fato, fortuna o sfortuna ad aver definito la storia?

Oscar: No, hai ragione, diciamo che noi umani siamo il frutto di una serie di imperfezioni che hanno riscosso un certo successo, visto che abbiamo preso noi il sopravvento sul pianeta, tra tutti gli esseri viventi… Almeno così pare.

Cosa serve effettivamente?

Oscar: Ingegno. Abbiamo raggiunto questo obiettivo grazie alle nostre invenzioni. Una quantità infinita di scoperte, partendo dal fuoco fino ad arrivare a internet.
Per inventare è necessario fare ricerca, esperimenti. A volte va tutto nel verso giusto, altre volte si commettono sbagli e si ottengono fallimenti. Capitano altresì casi in cui si ottengono risultati eclatanti senza volerlo; pensando di raggiungere un risultato, ecco sorprese tanto stupefacenti quanto casuali che generano un successo globale e inaspettato. Qualche esempio clamoroso? Cristoforo Colombo cercava le Indie e scoprì l’America, la penicillina e i raggi X sono nati per sbaglio e così anche il forno a microonde, il cellophane, la dinamite, il post-it, il Viagra… E tantissime altre ancora.

Ingegno e caso possono andare a braccetto?

Oscar: Nel 1754 lo scrittore inglese Horace Walpole conia un termine nuovo: serendipity, per definire una scoperta nata per caso. Walpole inventa questo neologismo prendendo spunto da un’antica leggenda persiana, che narra di tre principi, figli di Jafer, re di Serendip (l’attuale Sri Lanka). I tre nobili fratelli girando continuamente per il mondo scoprono, per caso, cose che non stavano cercando.
Si tratta, dunque, di un termine che rientra nella famiglia delle parole d’autore, coniate, inventate per necessità e non è neppure recentissimo: ha compiuto da poco 266 anni di vita. Non è consueto, anzi difficilmente viene pronunciato, ma quando succede si generano stupore e curiosità. La parola “serendipity” nasce per definire tutte quelle scoperte nate per caso, mentre si stava cercando altro, ma nel tempo la sua applicazione si è allargata anche per definire belle invenzioni e più in generale cose buone, ricche di storie intriganti dovute alla fatalità. La serendipity è ovunque.
Ho scritto un libro che s’intitola così! Racconto le grandi serendipity che riguardano il mio mestiere: quello del cibo. Sono ormai quasi vent’anni che mi occupo, professionalmente, di enogastronomia, ma da amatore il tempo è più che doppio. Studiando le storie dei cibi mi sono imbattuto in serendipity straordinarie. Una buona parte di quelle che vi racconto sono ortodosse, nel senso che si tratta di piatti o bevande, di grandissimo successo e diffusione, nati letteralmente per sbaglio, mentre l’inventore stava cercando tutt’altro, come la Coca-Cola, il Gorgonzola o la Nutella, nata dall'idea di raccogliere in bicchieri di vetro riciclabili i panetti di Giandujot che d'estate si liquefacevano.

 

Un’altra parte riguarda eccellenze nate semplicemente per rimediare a un errore, una dimenticanza o una disgrazia, come l’Insalata russa, inventata a Racconigi da una variazione dell'insalata rusa, cioè fatta con la rapa rossa, per accogliere una delegazione di russi; i grissini venuti fuori per sbaglio nel Seicento cercando di fare un pane senza mollica perché il principe Amedeo non la digeriva; o il Panettone nato per errore alla Corte di Ludovico il Moro dall’ingegno di uno sguattero – ‘Toni – che, dopo aver bruciato il dolce ufficiale della cena di Natale, ne creò un altro mischiando l’impasto di un pane ricco e dolce con canditi e uvetta, facendolo lievitare a lungo. E così, il Pan de ‘Toni, diventa, con il tempo, il dolce ufficiale del Natale in tutta Italia e nel mondo.


Altre storie ancora riguardano piatti, materie prime o bevande le cui origini sono talmente rocambolesche da meritare di essere raccontate, come quelle del peperoncino, del Risotto alla milanese o del vino Barolo: siamo nel 1841 e una regia fregata sta salpando da Genova con a capo il Cavalier Mameli, destinazione Brasile. Nel carico ci sono 141 barili di vino rosso, prodotti a Pollenzo da uve Nebbiolo locali tra il 1840 e il 1838. Non è una vendita, ma un saggio di trasporto. Un esperimento, in pratica. Dopo due anni di assaggi, tra shock termici nei mari di tutto il mondo, i vini dovevano tornare in Piemonte, e così fu. Si legge in un documento firmato dal generale Paolo Francesco Staglieno – ideatore di questa suggestiva trasferta – che “i vini piemontesi non solo tornarono incolumi ma migliorati assai! Il nostro vino può essere trasportato da un polo all’altro della terra senza subire alcuna alterazione.”

Infine, nel libro, vi racconto tre vicende di serendipity che non concernono al cibo, ma sono talmente interessanti e curiose che mi hanno intrigato; e poi si tratta sempre di cose che finiscono nel nostro stomaco, come il Toscano e il Viagra, oppure che concorrono a creare prodotti da mettere in bocca, come il verderame, che intorno al Settecento veniva vaporizzato nei vigneti del Bordeaux perché non rubassero l'uva, per poi accorgersi che la rendeva meno contaminata.


Per ognuna di queste 50 storie ho scelto di dialogare con persone che ne sanno ben più di me riguardo alle singole invenzioni. Produttori, gastronomi, cuochi, pasticceri, artisti, scienziati: una varia umanità che, secondo me, fornisce un valore aggiunto determinante a questo umile libro… Pensato da uno che tutti i giorni incontra persone con maggior talento di sé, e cerca di farne patrimonio.

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