Incontro con
Carlo Ratti
CITTÀ APERTE SUL FUTURO
“La strada è la collaborazione” ha dichiarato Carlo Ratti, architetto e ingegnere a capo dello studio CRA, a Torino e New York, e del Senseable City Lab presso il MIT, delineando la figura dell’architetto come un direttore d’orchestra capace di parlare con chi si occupa di dati, di etica e di biologia e di armonizzare le diverse voci per riuscire a integrare il mondo naturale con quello artificiale.

Dopo questo periodo di lockdown, purtroppo ancora in atto, è cambiata la sua percezione dell’architettura e dello spazio?

- In qualche modo sì. La virtualizzazione delle nostre vite prodotta dalla pandemia ci ha fatto capire l’importanza fondamentale dello spazio fisico. Abbiamo tutti voglia di tornare in strada e di riunirci nei ristoranti o nei cinema. Questo periodo così complesso mi ha convinto che il ruolo più urgente che oggi l'architettura deve giocare è quello di creare spazi per l'incontro di persone diverse – luoghi fisici nei quali non sia possibile "filtrare l'indesiderabile", come facciamo abitualmente nella rete dominata dagli algoritmi predittivi.

Pensa che cambierà l’aspetto delle città? 

- Le nostre città ne hanno viste di cotte e di crude. Sono sopravvissute a calamità e pandemie più devastanti di quella attuale e sono sempre risorte. A metà del Trecento, la peste falcidiò il 60% della popolazione di Venezia. Non per questo nei secoli successivi abbiamo rinunciato a vivere nelle sue bellissime calli o ad affollare i suoi teatri. Credo che in un futuro non troppo lontano torneremo alla Fenice, pigiati l’uno contro l’altro.
Insomma, credo che questa pandemia ci lascerà come eredità non tanto un cambiamento della componente fisica delle nostre città, quanto un cambiamento nei modi di vivere e abitare gli stessi spazi. In altre parole, cambierà non tanto l’hardware, quanto il software.

Crede che le strutture nate per essere il centro di scambi sociali (penso alle piazze ma anche ai mall o ai centri congressi) cambieranno?

- Credo che uffici e centri congressi continueranno ad avere un ruolo importante per lo scambio di idee, per le relazioni interpersonali e per la trasmissione di cultura aziendale. Dirò di più – credo che i nostri uffici assomiglieranno sempre di più a spazi di questo tipo. Se devo lavorare da solo con il mio portatile posso stare a casa o in montagna. Se invece vado in ufficio voglio massimizzare le opportunità di incontro con gli altri. In quest’ottica con lo studio di progettazione CRA – Carlo Ratti Associati stiamo lavorando alla nuova sede del Gruppo Sella a Torino. 

Secondo lei questo periodo ha sensibilizzato le persone nei confronti dei temi ambientali?

- Penso di sì. Nei mesi scorsi abbiamo visto come le istanze sanitarie siano indissolubilmente legate a quelle ecologiche. Come dimostrano le ricerche della mia collega di Harvard Francesca Dominici, la mortalità dovuta al Covid-19 è massima negli ambienti urbani inquinati. Spero che questa consapevolezza resti con noi nel lungo periodo e ci aiuti nel processo di trasformazione delle nostre città post-pandemia.

Come vede la mobilità negli anni a venire? Cambierà il modo di muoversi all’interno delle grandi città?

- Vedo un futuro interessante per la micro-mobility – tipo bici e monopattini elettrici. Essi, infatti, possono giocare un ruolo fondamentale all’interno di un sistema di trasporto metropolitano: rendono i mezzi pubblici più competitivi risolvendo l’annoso problema dell’ultimo miglio. In altri termini: posso saltare giù da un bus e saltare su un monopattino per raggiungere la mia destinazione finale. La micromobilità ha inoltre numerosi vantaggi anche nel breve periodo: permette il distanziamento sociale senza tutti gli inconvenienti (emissioni, uso della strada, ecc.) dell’automobile.

Stiamo andando verso un tipo di progettazione che tenderà a recuperare un equilibrio con la natura?

- Siamo in un’epoca in cui naturale e artificiale hanno iniziato un grande processo di convergenza. Noi stessi abbiamo assimilato telefoni cellulari, computer, tablet e dispositivi da polso quasi come appendici del nostro corpo. In modo analogo, le città e gli edifici si apprestano a compiere una trasformazione simile, ma di segno opposto, in cui l’artificiale si muove verso il naturale. Da un lato l’evoluzione del digitale, tra sensori e attuatori e intelligenza artificiale, consente agli edifici di diventare responsivi, adattandosi in tempo reale alle condizioni circostanti come se fossero organismi viventi. Dall’altro, sono sempre più numerosi gli esperimenti di progettazione i quali incorporano la natura nei nostri edifici e nelle nostre città. Due strade diverse per la convergenza naturale-artificiale.

Le periferie delle città sono oggi al centro d’interventi architettonici. Secondo lei diventeranno più importanti delle città stesse?

- Non credo si tratti d’importanza, quanto di rapporto tra le parti come in un organismo biologico. Con CRA, ad esempio, abbiamo da poco presentato il progetto per il nuovo campus scientifico dell’Università di Milano nell’ex area Expo 2015, che lavora in maniera sinergica con l’altro campus nel cuore di Milano.

Ci racconta il progetto del Padiglione Italia per l’Expo Dubai 2021?

- Tre barche – una bianca, una rossa e una verde – arrivano a Dubai e diventano il tetto del Padiglione. Alla fine di Expo il Padiglione si smonta ed esse riprendono a solcare i mari. Abbiamo perseguito l’idea di un’architettura riconfigurabile, sia a lungo termine – grazie al riuso dei suoi componenti, le barche che tornano a navigare – sia a breve termine – grazie alle tecnologie digitali. Tema comune è la circolarità: nulla va sprecato; al contrario, tutto viene riutilizzato.
Un progetto particolarmente significativo, dove la natura, il riciclo, la sostenibilità e il mondo digitale convivono in perfetta armonia.
Le tre barche, infatti, ideate da CRA – Carlo Ratti Associati, Italo Rota Building Office, matteogatto&associati e F&M Ingegneria, attraccheranno metaforicamente a Dubai e diventeranno la spina dorsale del Padiglione, come esplorazione del riuso, della circolarità e dell'architettura riconfigurabile. Il design si basa su un approccio circolare all'architettura: le imbarcazioni saranno convertite nel tetto dell'area espositiva per la durata dell'evento, per poi venir restituite al mare entro la fine dell'Esposizione Mondiale. Allo stesso modo, il progetto mira a integrare materiali sostenibili – come bucce d'arancia, fondi di caffè, funghi e plastica riciclata estratta dall'oceano – che vengono utilizzati come elementi di costruzione, integrandoli con materiali che richiamano la geografia locale di Dubai. Per esempio, la mostra si estenderà su una duna di sabbia vera mentre una passerella sopraelevata sarà rivestita con materiali innovativi ottenuti da bucce di arancia e fondi di caffè.
Il Padiglione si apre infine all'atmosfera, utilizzando strategie naturali di controllo del clima. Lo spazio è delimitato da una facciata adattabile costituita da tende Led e corde nautiche. Questo sistema creerà uno strato digitale flessibile, in grado di trasmettere contenuti multimediali. 

 

L’esigenza di attrezzarsi, creando nuove strutture per la cura delle persone, l’ha portata a realizzare il progetto CURA. Ce lo può raccontare?

- Come tutti lo scorso anno abbiamo sentito l’esigenza di mettere in campo le nostre competenze per rispondere all’emergenza, che ci riguardava come professionisti e come cittadini. CURA è una iniziativa open source che converte container da trasporto in unità di terapie intensiva con biocontenimento. In poche settimane abbiamo realizzato la prima unità e il modello è in fase di replica in diversi Paesi del mondo. L’obiettivo: cercare nuovi strumenti progettuali, basati sulla condivisione e sull’open source, per proporre un’alternativa rapida, facilmente trasportabile e riutilizzabile agli ospedali da campo e alle strutture ospedaliere fisse. Il metodo? Lavorare in modo aperto, condividendo tutto come si fa nel mondo del software con l’open source.
Le esigenze sempre più complesse di una società che parla oggi anche attraverso le tecnologie apre a nuove visioni dell’architettura.

 

Qual è la sua visione di città del futuro?

- Una città aperta, in cui ciascuno possa riconoscere la propria voce.

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