Redazione interna
Incontro con
Rick DuFer
Alla scienza la diagnosi del problema, 
alla tecnologia e alle visioni, le soluzioni
Pur se in passato sono state numerose le voci che hanno negato un fondamento alle preoccupazioni per i pericoli dei cambiamenti climatici, la letteratura scientifica degli ultimi 10 anni ha ormai raccolto un consenso della comunità sull’esistenza del fenomeno, sulla determinante influenza umana e sulla gravità dei danni attesi nei prossimi decenni.

Il climate change è un dato di fatto. Certo, vi sono dibattiti ancora aperti sul livello di gravità e sulle concause; persistono alcune nicchie di scetticismo, e negazionismo, ma nella diagnosi del problema la comunità scientifica si presenta ormai pressoché compatta. E la lotta al cambiamento climatico è l’obiettivo 13, tra i 17 target dell’Agenda Onu 2030.

Il cuore del dibattito si è ormai spostato altrove: evoluzione del fenomeno e soluzioni.

Ma è proprio quando si passa alla trattazione, dall’analisi delle conseguenze allo studio delle soluzioni, che il problema si allontana dalla sfera scientifica, si scivolerebbe altrimenti nella futurologia, e assume carattere economico, politico, religioso, sociale ed etico. Quindi anche filosofico.

La scienza lascia il passo alla tecnologia e l’uomo mette in campo la soggettività.

Ecco come la saggia voce di un filosofo influencer, Rick DuFer, si inserisce nel dibattito sul climate change.

Rick parte dall’assunto che l’attuale dibattito sul clima è infatti molto controverso, soprattutto nelle sue frange più estreme: negazionismo e catastrofismo. Nessuno dei due punti di vista è ovviamente costruttivo, perché sia il rifiuto che la paura portano a reazioni di panico, non alle soluzioni.

E con le soluzioni, siamo già in grande, enorme ritardo. Le pur presenti politiche di mitigazione, ossia le azioni necessarie per ridurre le emissioni di gas climalteranti, non riescono a tenere il passo con gli obiettivi globali.
Siamo in ritardo perché la politica è guidata soprattutto dalla ricerca del consenso di breve periodo; perché la diffusa povertà a livello globale, per cui la protezione del clima non può essere una priorità, rappresenta un insormontabile ostacolo all’innovazione e alla diffusione di tecnologie pulite; perché la consapevolezza e le informazioni basilari sulla questione clima non sono sufficientemente diffusi, con conseguente ritardo alle azioni di trasformazione dei sistemi produttivi e dei comportamenti individuali.

E Rick DuFer ci racconta in più modi, nei suoi podcast Daily Cogito, che non è solo questione di informazione o educazione scientifica, ma anche di meccanismi psicologici e sociologici che contribuiscono a generare una forma di immobilismo, o eco-ansia. La lentezza del cambiamento e i messaggi spesso tra loro dissonanti veicolati dai mass media generano una sensazione di impotenza diffusa, se non di paralisi.
Chi ascolta spesso finisce per non sapere più a chi credere e su quale base agire; percepisce l’aleatorietà e discutibilità di ogni posizione, ma spesso non ha gli strumenti e le competenze per discernere e farsi una propria idea su temi così complessi.

Comporre una coerenza complessiva dell’informazione è dunque vitale per ottenere una presa di coscienza comune, una visione su cui definire una nuova identità planetaria. Altrettanto arduo è riuscire poi a recuperare le ragioni per occuparci, come individui e comunità, del futuro e dei nostri posteri. E a questo compito partecipano in parte i divulgatori, gli opinionisti, i filosofi dell’attualità.

Comprendere la posta in gioco sul tema del climate change richiede non solo maggiore conoscenza, ma anche un livello di intelligenza emotiva molto superiore a quello attuale.

Il motivo per cui Rick sceglie di affrontare questo argomento è perché la sfida dei cambiamenti climatici non è quindi solo una questione scientifica e tecnologica, richiede una narrazione comune, che unisca le diverse soggettività e le superi, che permetta di far uscire la questione dalle diversità politiche, economie, religioni, anche dall’etica.

La sfida stessa deve assumere carattere di visione comune.

I mezzi di comunicazione rappresentano una piattaforma critica di scambio di informazioni e concorrono all'interpretazione delle visioni del sistema sociale nel quale vengono prodotte. Determinanti nella diffusione di informazioni, ma anche in grado di contribuire a un'ampia opera di sensibilizzazione sulle tematiche. E alla proposizione, anche originale, delle soluzioni.

I mass media hanno la caratteristica di proporsi come un'arena di discussione, fondamentale per la legittimazione della gestione politica delle problematiche. Questo confronto comunicativo gioca un ruolo decisivo nella consapevolezza delle proprie responsabilità e contribuisce a facilitare il dialogo e la comprensione, il bilanciamento d’ interessi diversi, la scelta di obiettivi comuni e le conseguenti modalità di perseguirli.

La comunicazione gioca dunque un ruolo fondamentale nel mobilitare, o ostacolare, l'impegno civico, è il mezzo elettivo per esprimere il focus dell’azione comune, per generare pubblico e incoraggiare la reattività. Non basta conoscere il problema climatico per sentirsi coinvolti, ma serve anche preoccuparsene, essere motivati e capaci di agire.

Secondo la psicologia sociale, il concetto di “atteggiamento” si definisce in termini molto ampi come una combinazione di affetto, credenza e tendenza all'azione. Possiamo dunque intendere il civic engagement come uno stato di connessione con la questione climatica. Una connessione che comprende aspetti cognitivi, affettivi e comportamentali.

Come ottenerlo? Spronando il pensiero comune, come somma di consapevolezze individuali. Rick DuFer punta a questo, a fare ragionare sul problema, perché ognuno elabori intimamente la propria consapevolezza e prospettiva, perché solo quando si è chiamati a riflettere su una questione, quando ci si sente coinvolti in prima persona e si passa dall’oggettivo al soggettivo, entra in gioco la propria di etica che porta all’assunzione di responsabilità. Da qui l’azione.

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