INCONTRO CON
NORBERT NIEDERKOFLER

“Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. Più che l’anno della crescita, ci vorrebbe l’anno dell’attenzione. Attenzione a chi cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione o a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa più togliere che aggiungere, più rallentare che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.”1

Prendo a prestito i versi di Franco Arminio, poeta e paesologo campano, perché si adattano perfettamente al cammino che sto facendo in Alto Adige. Terra a pparentemente dura, fredda e difficile, dove l’uomo però ha saputo creare, in armonia con la natura, un legame profondo basato più sul rispetto che sulla protervia, più sulla condivisione che sulla supremazia, dove la gente è capace di rallentare e di accudire sentieri, boschi, montagne, fiumi e ghiacciai.

Dando al territorio ciò di cui ha bisogno: cura. 

La consapevolezza di far parte di un “equi-sistema” è fortissima, e tra i numerosi maestri pronti a dare istruzioni ne conosco uno veramente attivo e virtuoso. 

L’Italia è famosa nel mondo per il suo cibo sano e di alta qualità, non solo per le produzioni enogastronomiche ma anche per il talento di chi sa trasformare e ha grande rispetto per la materia prima.
Siamo in Alto Adige, a San Cassiano, in Alta Badia, in un contesto meraviglioso per incontrare un virtuoso della cucina di montagna: lo chef tristellato Norbert Niederkofler.

L’Alta Badia è considerato un vero e proprio laboratorio enogastronomico di alto livello, qui con me c’è il massimo interprete Norbert Niederkofler, con cui mi intrattengo per fare quattro chiacchiere.

Tu sei nato e cresciuto qui?
- Sono nato in Valle Aurina, praticamente sotto la vetta d’Italia, ma vivo da 27 anni in Val Badia, posso ormai considerarmi un locale.

Ti sei formato professionalmente in questi territori?
- No, ho lasciato l’Alto Adige a 17 anni perché mi stava stretto. Allora la mia passione era lo sci: gare e divertimento. Solo più tardi, in Germania, mi sono avvicinato al mondo dell’accoglienza e della ristorazione. In seguito ho fatto esperienza in giro per il mondo per 15 anni, per carpire e imparare.

Come hai coniugato le tue esperienze di viaggio e la cucina di queste terre? Perché noi ritroviamo dentro i tuoi piatti anche una radice profonda legata al territorio in cui vivi, in cui hai scelto di stare.
- Nel ‘96 siamo partiti con un ristorante totalmente diverso da come appare adesso, in cui avevo riversato tutto ciò che avevo visto e imparato negli ultimi anni di esperienza tra New York e Monaco.
La cucina era inizialmente di respiro internazionale. Nel 2008 ho voluto fare una inversione di marcia, un cambio epocale dell’impostazione e un deciso passo indietro: la nuova missione era rispettare molto di più la natura e l’ambiente dove viviamo e lì ho coniato il concetto di “Cook The Mountain”.
Ho rivoluzionato completamente il paradigma della nostra cucina, eliminando completamente l’aspetto internazionale. Oggi, ad esempio, non usiamo frutta e verdura che arrivi dalle serre, non utilizziamo olio d’oliva, agrumi, abbiamo anche eliminato il sottovuoto. Tutto è cucinato a fuoco vivo, naturale.
Oggi in cucina sosteniamo un ritmo totalmente sinergico con la natura: è la natura stessa che ci dà il ritmo, che dona l’equilibrio.

Certo, tu non hai niente contro l’olio di oliva italiano o contro gli agrumi, ma è chiaro che in questa zona gli agrumi non ci sono. Qui c’è il pino mugo, però. Preferisci dunque usare quello anche perché ingrediente di prossimità, non fa chilometri per arrivare a te e soprattutto perché è caratterizzante del tuo territorio.
- E soprattutto, quando hai clienti che arrivano da diverse parti del mondo, non ha senso che tu gli offra un’esperienza che possono vivere altrove, o che tu proponga un cibo che potrebbero gustare a New York o a Tokyo. La cosa migliore è proporre loro tutto quello che offre la natura del posto, compreso qualcosa per il palato.

I sensi vengono attivati tutti.
- Si, tutti.

Uno come te, che raggiunge l’Olimpo degli chef mondiali, decide di colpo di privarsi di ingredienti che lo rendono sicuro e sceglie degli altri ingredienti che sono molto difficili da lavorare e anche da proporre. Perché l’hai fatto: autolesionismo, scelta, piacere, ardire? Qual è stata la motivazione?
- La scelta mi si è autoimposta. Non ero più soddisfatto di quello che stavo facendo e finalmente ho recuperato quello che la cucina è per me.
La cucina, in una casa di montagna, è il luogo più affascinante e accogliente perché c’è il tepore, c’è un tavolo, auspicatamente grande, dove è seduta una famiglia, gli amici, che chiacchierano e mangiano.
Così ho provato a raccogliere delle suggestioni, intrattenendomi con clienti e avventori, domandando loro cosa si aspettassero quando venivano da noi. L’elemento comune che compariva in tutte le risposte era la natura. Così ho capito che l’equilibrio tra la nostra cucina e il territorio sarebbe solo potuto partire da questo unico comune denominatore.

Tu insegni a tanti ragazzi che vengono qui perché sei un cuoco famoso, perché hai le stelle Michelin e perché sei riuscito a portare avanti una tua idea di cucina, ma quando vengono qui i giovani e anche i clienti, come si relazionano al tuo progetto?
- Invito sempre tutti a osservare il lavoro che stiamo facendo e soprattutto a contestualizzarlo: io faccio “Cook The Mountain” perché sono in montagna.
Chi arriva dalla Sardegna può fare “Cook Sardegna”, chi dalla Calabria “Cook Calabria”. Il principio fondamentale è quello di mantenere “The nature around you”: solo così si protegge veramente la natura e, soprattutto, la cultura del mangiare. 

“L’equilibrio è fondamentale. Fra tutte le cose, quelle migliori non sono mai troppo o mai poco, mai velocissime e mai lente. Per essere veramente vivi bisogna andare a tempo”, diceva Norbert mentre lo salutavo.

E questo pensiero mi ha accompagnato lungo il cammino altoatesino, dove anche i sentieri, i torrenti, gli alberi, i laghi, le valli, le cime delle montagne vengono considerate dagli abitanti come parti della loro casa, da accudire e tutelare, non da lasciare fuori una volta chiusa la porta. 

È l’equilibrio tra uomo e natura, tra etica ed estetica, tra vita e morte, tra luce e ombra, tra oblio e racconto, tra tesi e antitesi, la reale sintesi di tutta la nostra esistenza. 

Grazie Norbert, grazie maestro.


[1] Franco Arminio, Cedi la strada agli alberi (Chiarelettere editore, 2017)

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