La Digital Fabrication e un nuovo equilibrio tra artificiale e naturale

Nel 2012 scrivevo sul blog del sito del mio laboratorio di stampa 3D (www.thefablab.it) un post dal titolo Atomi per la vita, dove immaginavo due neogenitori che tornavano a casa dal reparto di neonatologia dell’ospedale con, in ordine: il loro pargolo, il certificato di nascita e 5 kg di materia plastica.

Quella sarebbe stata la materia di origine sintetica che quel giovane Homo sapiens avrebbe usato per tutta la vita, né un grammo di più, né un grammo di meno. Durante tutta la sua esistenza e crescita, il giovane umano avrebbe trasformato quelle poche manciate di atomi, prima in un ciuccio e un carillon, poi in uno sgabello e un pennarello, poi in un paio di infradito, un porta smartphone e un cinturino per orologio, e così via…

Giorno dopo giorno, mese dopo mese, avrebbe riutilizzato quella stessa materia polimerica per costruirsi gli oggetti di cui necessitava.

Il racconto, ambientato in un futuro non troppo lontano, si appoggiava sulla convinzione che tecnologie come internet, la progettazione e la manifattura digitale e i polimeri sempre più performanti si sarebbero diffusi velocemente nella nostra società. Era un racconto interessato, un sogno per trovare un nuovo equilibrio tra le nostre abitudini di consumo e il rispetto per la natura e gli ecosistemi biologici. 

A quanto pare non ero l’unico a sognare questo futuro e questo nuovo equilibrio tra natura e cultura umana, infatti, qualche anno dopo, è stato lanciato da Barcellona un progetto che ancora oggi coinvolge le maggiori città dell’intero globo come New York, Boston, Barcellona, Berlino, San Paolo, Seul, Parigi e Milano.

Il progetto Fab City (www.fab.city) è nato nel 2014, grazie a un’iniziativa dell’allora sindaco di Barcellona che ha sfidato le città dell’intero mondo a produrre tutto ciò che consumano entro il 2054. La città dunque si trasformerebbe da luogo di consumo a luogo di produzione e consumo.

La Fab City Global Initiative sta promuovendo questo passaggio, dal paradigma industriale del Product-in/Trash-out, consentendo il ritorno della produzione nelle città, proponendo il modello Data-in/Data-out e dove le tecnologie di fabbricazione digitale e il riuso delle materie prime diventano centrali.

Inutile dire che questo modello, proprio come il mio sogno, porterebbe molti vantaggi e nuovi equilibri: la città tornerebbe a essere luogo di produzione e non più solo di vendita e uso, questo potrebbe trasformare i centri storici in luoghi abitati da botteghe, laboratori e officine, dove clienti e produttori si incontrerebbero, riciclando la materia prima e co-progettando i prodotti, personalizzandoli per le singole esigenze (mass customization).

Non ci sarebbero più sprechi, sfridi e merci in magazzino.

Sarebbero completamente eliminati i trasporti inutili di materia in giro per il mondo, a viaggiare sarebbero solo le informazioni digitali, ovvero le istruzioni per le macchine di produzione digitale, come stampanti 3D, laser cutter, frese CNC.
L’intera filiera sarebbe più sostenibile, davvero un sogno.
Ecco perché dobbiamo lavorare con le nuove tecnologie per risolvere i problemi che quelle vecchie hanno creato: questo oggi è il nostro dovere di cittadini e professionisti.

Io lavoro in questa direzione, usando nuove tecnologie di fabbricazione digitale e creando o sostenendo una rete di piccoli centri di manifattura, che un giorno potranno rendere reale il sogno che feci nel 2012.  

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