Incontro con Francesca Settimi
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La forza della condivisione

Francesca Settimi è una donna che ha affrontato una lunga battaglia contro la malattia.

Nel marzo del 2007 le viene diagnosticato un carcinoma mammario di tipo lobulare e in seguito ai test genetici BRCA 1 e 2, da cui risulterà negativa, nel 2012 le viene comunicato che è portatrice di una rarissima mutazione genetica al test del CDH1. Il CDH1 è un gene oncosoppressore, che codifica per la E-caderina, una proteina fondamentale per l’integrità e l’adesione cellulare. Una mutazione di questo gene può essere trasmessa di padre in figlio, ed è responsabile del carcinoma gastrico di tipo diffuso o HDGC e in correlazione del carcinoma mammario di tipo lobulare.

Le cellule tumorali iperproliferano sotto alla mucosa dello stomaco e perciò sono invisibili con normale endoscopia. Inoltre, il tumore è indolente fino a quando non arriva a stadio avanzato.
Per questo è molto importante, ed è lo scopo del libro Io, Guenda e il gene matto di cui Francesca è protagonista, fare informazione per tutte le donne che hanno un tumore mammario di tipo lobulare, con casi di tumore gastrico di tipo diffuso ereditario in famiglia.

Da quel test, Francesca si è sottoposta a 27 interventi chirurgici per combattere una malattia che si manifestava in modo imprevedibile. Una lotta sfibrante, cui Francesca non si è arresa, dimostrando una forza straordinaria e prendendo con coraggio decisioni drastiche. Un esempio di speranza e amore per la vita, qualunque essa sia, per tutti coloro che affrontano la malattia, che hanno bisogno di raccontarsi e di essere ascoltati, blindati nella solitudine dei loro percorsi.

Francesca, quale è stato il tuo principale serbatoio di forza ed energia nei momenti più difficili?

“Vivere in una casa al limitare del bosco ed essere appassionata di fiori e ortaggi mi ha insegnato a stare a contatto con i cicli naturali di vita e morte; aggiungerei anche a pazientare e accettare che non sempre le cose vanno come ci aspettiamo. La natura è una grande maestra di vita.
Dico sempre che il luogo in cui vivo è parte della mia terapia di sopravvivenza.

Le relazioni familiari sono state l’altra mia grande fonte di energia: mio marito in primis, coprotagonista della mia vita, e gli amici, che in ogni modo possibile, anche da lontano, continuano a supportarmi in ogni momento. Senza di loro, sarebbe stato molto più difficile restare ancorata alla vita.

Fondamentale il contributo di due Associazioni di Pazienti: Associazione Palinuro e Vivere senza stomaco si può. Mi hanno aiutata ad accettare che il nostro corpo, malgrado le modificazioni imposte dalla chirurgia, può essere comunque gestito e accettato. Le Associazioni offrono un supporto eccezionale per la condivisione tra pazienti dei problemi, pratici e psicologici, che si devono affrontare lungo tutto il percorso, specie quando siamo sopraffatti da solitudine e disperazione.”

Conoscevi l’esistenza di questa malattia prima di esserne vittima?

“No. Era il 2012 quando sono risultata positiva al test CDH1 e ho deciso di essere gastrectomizzata in base a un unico studio scientifico neozelandese del 2010, basato su un centinaio di persone con la mia stessa mutazione. Se ne sapeva davvero poco.”

Il cibo gioca un ruolo centrale nella storia di Francesca e della sua malattia: cibo cucinato e cibo mangiato. Superati i numerosi interventi, ha riscoperto il cibo come fonte di guarigione e di gioia. Non ha più lo stomaco, ma la cucina diventa comunque la sua passione e medicina primaria. Frequenta la Scuola Le Cordon Bleu a Parigi e diventa chef pasticcere. Fonda la Scuola Cook on the Lakes a Colazza, sul Lago Maggiore, dove insegna e condivide la sua passione per il cibo: un modo per trovare forza, per esplorare nuovi sapori e per condividere esperienze.

Qual è secondo te la funzione primaria della cucina, del cucinare, e qual è il significato di insegnare a cucinare e a mangiar bene?

“Ho sempre amato cucinare e mangiare bene; i viaggi sono stati sempre un’occasione per coltivare questa mia passione, che mai avrei pensato potesse diventare la mia nuova professione dopo la gastrectomia. Senza stomaco il cibo diventa un pensiero fisso per tutta la degenza e subito dopo. O mangi o muori. Ho perso 30 kg in breve tempo. Senza lo stomaco perdi qualsiasi interesse per il cibo, che, anzi, ti fa star male.

Poi, cominci con un pezzettino di pane, e man mano ricostruisci le tue abitudini alimentari. Scopri che tutto è cambiato: consistenze e sapori. Ma quel poco che riesci a deglutire, cerchi di caricarlo il più possibile di calorie e proteine. La Scuola mi ha aiutata a stare in piedi e a fare pace con questo nuovo modo di alimentarsi. E non solo, ho potuto condividere tutto ciò con le persone che ospitavo, provenienti da tutto il mondo; un modo per tornare a viaggiare, non viaggiando.”

Francesca Settimi e Lucia Ravera avevano 10 anni quando sono diventate amiche. Oggi Lucia è giornalista e scrittrice. Guenda è l’affettuoso soprannome che reciprocamente si sono assegnate. Il sostegno di Lucia per Francesca è stato preziosissimo, e l’idea di scrivere un libro insieme, intitolato Io, Guenda e il gene matto, è nata dalla volontà di raccontare la storia di Francesca e la sua lotta contro la malattia. Lucia ha scritto il libro con delicatezza e amore, offrendo una testimonianza di fiducia, fede e speranza per tutte le persone che affrontano la malattia.

Perché il soprannome Guenda?

“Guenda deriva da un tentativo di Lucia di trovare un nome a una linea di portaoggetti da doccia che avevo ideato quando ero ancora architetto. Ci piaceva Guenda: poteva trasformarsi in Guendalina e quindi ʻGuendaLineʼ. I produttori optarono per altro, ma io e Lucia da allora lo usammo per chiamarci l’un l’altra. Nel libro, però, Guenda è Lucia, io sono io e il gene matto.”

Raccontare, e raccontarti nel libro, è stato per te più un modo per condividere ed esorcizzare o una forma di prevenzione alla malattia e attenzione al valore della vita?

“Il libro per me è stato un punto di arrivo. Vedere la propria vita narrata da un'altra persona, dove tutti i pezzi trovano all’improvviso posizione e significato, è stato catartico; mi sono spesso sorpresa a dirmi ʻaccidenti, ho fatto proprio così; mi sono comportata da manuale, non avendone letto nessunoʼ. Ho potuto osservarmi da un’altra prospettiva: io, le mie dinamiche psicologiche, le mie capacità e i miei errori, le prassi standard e i salti carpiati della medicina. Ora potevo condividere tutto questo con gli altri. E questo ha dato senso a tutto, alla mia nuova me e a quello che è successo. Un nuovo inizio, testimonianza e testamento; parole e ascolto per chiunque, disorientato o momentaneamente perso, ne avrà bisogno: pazienti, operatori, amici e familiari. Un esercito di impotenti da confortare. Cui imprimere nuova forza. La forza della comprensione e della solidarietà. Perché essere circondati da persone che ci sostengono e ci incoraggiano può darci la forza necessaria per affrontare le sfide e trovare nuovi modi di vivere la vita con gioia e pienezza.”

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