Scoprire parole, 
riscoprire cibi

Tutti mangiamo, tutti scriviamo: non dobbiamo essere cuoche o scrittrici per approcciarci a padelle e fogli di carta. Ma fermarci, anche solo per la durata di un pasto, e osservare cosa succede quando cuciniamo, facciamo la spesa, assaggiamo un ingrediente, ci permette di imparare qualcosa di nuovo. Il cibo smuove ricordi, lega le persone, ed è un grande motore di cambiamento. Quando mangiamo, e quando abbiamo modo di scoprire nuovi punti di vista sul cibo attraverso la scrittura, rivediamo un gesto quotidiano e lo portiamo in una dimensione più grande: dal personale arriviamo al politico e al sociale.

Tutto quello che ha a che fare con la scrittura di cibo finisce nel calderone del food writing, di cui vi riporto le parole di Molly Wizenberg: “Quello che rende interessante il food writing è l’esplorazione del modo in cui il cibo plasma le nostre vite, del modo in cui interagiamo col cibo e di come il cibo sia parte integrante delle nostre relazioni e del modo in cui viviamo.”

Come non ricordare Mary Frances Kennedy, poi M. F. K. Fisher, tra le food writer più celebri al mondo. Nel suo libro The Gastronomical Me dichiara: “La risposta più semplice sarebbe che, come tutti gli altri esseri umani, sono affamata. Ma c’è molto di più di questo. Ritengo che i nostri tre bisogni primari, cibo, sicurezza e amore, sono così legati e intrecciati tra loro, che non possiamo pensare a uno senza considerare anche gli altri. Così succede che quando scrivo di fame, io scriva in realtà anche dell’amore e del bisogno di sicurezza.”
Food writing è scrivere di cibo, che per me significa scrivere del mondo: il cibo sa essere una chiave di lettura e di narrazione di storie intime, approfondimenti culturali, saggi di economia, memoir, contenuti social, statistiche.

Lo sapeva bene la cuoca Gabrielle Hamilton, che nel suo memoir Sangue, Ossa e Burro descrive il divorzio partendo proprio dal cibo: “Quando ti separi, e ti dibatti per comprendere il vero significato di tutto ciò che è stato detto e promesso in amore, come fai a spartirti il contenuto della dispensa?”

Attraverso il cibo, quindi, possiamo raccontare tutto. Oggi sono qui per convincervi proprio di questo, portando degli esempi da alcuni libri che mi hanno permesso di vedere lontano: parole che parlano di alimentazione vegetale, sostenibile, di cucina viva. Sono ricette, spunti, riflessioni: sono testi scritti che offrono un cambiamento a chi, come tante persone, si sta interrogando su cosa e come mangiare per un mondo più sostenibile.

Comincerei dalle basi, e cioè: ci sono lotte che, per portare dei risultati, urlano.
Ecco: su di me non sempre fanno effetto, perché la gentilezza è il viatico più efficace per una scrittura che sa entrare sottopelle. È il caso del libro Capitalismo carnivoro. Allevamenti intensivi, carni sintetiche e il futuro del mondo di Francesca Grazioli, che parla del ruolo dell’industria della carne per comprendere il suo impatto nella costruzione di un sistema capitalistico. 

Da onnivora, mi sono trovata diverse volte di fronte all’opportunità di conoscere da vicino questa industria, ma sono sempre fuggita: titoli shock, contenuti urlati mi hanno spesso allontanata. Grazioli usa invece un tono informativo e non allarmistico, fornisce dati e cita ricerche per un viaggio completo e ben narrato, che nello stesso tempo non ci mette al riparo dalle crudeltà del sistema: una bella sfida, per chi come me è onnivora.

Sempre sulle sfide: vi siete mai chiesti come inserire i fermentati nella cucina di tutti i giorni? Sì: parlo di kombucha, kefir, verdure fermentate, miso. Sappiamo che fanno bene, ma devo confessarlo: mi sono sempre sembrati uno scoglio troppo grande da superare. Questo succede perché, come in tanti ambiti, si sceglie di usare un linguaggio super tecnico per sembrare più importanti, e non si adotta una lingua semplice perché sembra una rinuncia alla complessità. Invece Riccardo Astolfi, nel suo Cucina viva. Quotidiana, vegetale, fermentata, fa proprio il contrario: riporta i fermentati, qualcosa che ci appare super complesso, in ricette veloci scritte con un linguaggio diretto, positivo e comprensibile.

 

Ci sono parole che in maniera istintiva ci allontanano, come “scarti”: ci riportano a qualcosa che non è degno di essere tenuto a tavola. O forse siamo noi che non vogliamo cambiare rotta, e diamo un significato negativo ad alcune parole per non vedere una situazione contingente che necessita di una svolta. Secondo i dati del Food Waste Index 2021 a cura di UNEP (United Nations Environment Programme), la maggior parte degli sprechi avvengono tra le mura domestiche: in Italia sprechiamo circa 67 chili di cibo pro capite, per il consumo domestico, contro i 4 chili pro capite della distribuzione. Prendere consapevolezza arriva anche da un’informazione cristallina e non tortuosa. Per questo ho apprezzato molto il modo in cui Valentina Raffaelli e Luca Boscardin organizzano i testi nel loro Scarti d’Italia 2: con paragrafi brevi e liste, titoletti e le illustrazioni. La scrittura è sostanza e forma: il modo in cui organizziamo le informazioni facilita, o meno, l’apprendimento.

Chiudo questi consigli con un ultimo volume che non teme di fare domande scomode: siamo sicuri che la cucina vegetale richieda più tempo di quella onnivora? Nel suo libro La stagione vegetale. Cucina green per tutti i giorni Myriam Sabolla costruisce dei menu settimanali, che hanno proprio questo obiettivo: sprecare di meno, come risorse, e come tempo.
Qui si scioglie il nodo più importante, per me, della scrittura legata al cibo: quando si racconta una storia, questa deve essere autentica, legata al proprio vissuto, e frutto di competenza. Se c’è tanta produzione editoriale che vede le ricette come un elemento funzionale al mangiare e basta, ci sono altri volumi che raccontano il cibo come nutrimento in senso più ampio: per noi, per il pianeta. Questo accade solo quando la scrittura diventa dialogo, e chi scrive sa mettersi in gioco.

E voi, avete altri suggerimenti di libri e parole per un cambiamento che parta dalla tavola?

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