CASA ECOLOGICA

DAL PASSATO BUONE PRATICHE PER IL FUTURO

L’umanità si va sempre più urbanizzando, il 55% della popolazione mondiale oggi vive nelle città e si prevede che si arrivi al 68% nel 2050.
Quindi la casa ecologica sarà per lo più una casa urbana, ed è da questo contesto che dobbiamo partire per caratterizzarla.

Un edificio in un contesto urbano è parte di un sistema, la città, che ne influenza il funzionamento e ne è a sua volta influenzato.
La città deve fornire dei servizi che permettono e agevolano la vita nei diversi edifici. Deve fornire una catena di approvvigionamento di prodotti e creare la rete di smaltimento, ma non solo: deve anche fornire cibo e tutti i prodotti di prima necessità.
Per questo motivo le città preindustriali erano ricche di negozi di alimentari, di abbigliamento, di laboratori artigiani. Era anche necessario che tutti questi servizi fossero facilmente raggiungibili, a piedi e in breve tempo, perché l’auto non c’era.
In questa città l’energia era solo rinnovabile, legna e carbonella, il cibo veniva prevalentemente dalle campagne circostanti, la carne si mangiava solo occasionalmente, l’acqua era un bene prezioso, usato con parsimonia e il rifiuto quasi non esisteva: tutto si usava e riusava oppure si reinventava o ridestinava se inorganico; il poco organico finiva agli animali.

Certo, in inverno in casa si soffriva il freddo, e ci si vestiva pesante come all’aperto; la sola luce dopo il tramonto era quella delle candele o delle lampade a olio e la vita era generalmente molto più difficile e meno confortevole di quanto non lo sia oggi.
È stato così per millenni.

Oggi stiamo molto meglio, godiamo del riscaldamento centralizzato o addirittura autonomo e autoregolabile, della luce elettrica, di elettrodomestici che facilitano, semplificano e velocizzano le faccende di casa e abbiamo mille formati di mezzi di locomozione, ma tutto questo lo abbiamo ottenuto a spese del pianeta, alterando l’ambiente in cui viviamo e creando le condizioni per un futuro in cui la vita potrà essere molto più difficile di quella che avevamo nel passato. Non parlo dunque di una retromarcia involutiva, ma di un danno collaterale di un’evoluzione fuori controllo, non consapevole.

Cosa si può fare? C’è una sola soluzione, ed è quella di ricostituire il modello di funzionamento della casa e della città che ha funzionato per millenni ma arricchendolo di tutto il bagaglio di conoscenza e di tecnologie di cui disponiamo oggi, per mantenere lo standard di comfort cui siamo abituati senza il “danno collaterale”.
È un modello che si basa su un principio che accomuna le città agli ecosistemi: usare l’energia rinnovabile come motore di un metabolismo che chiuda il più possibile i cicli di materia.  
Cioè, nel nostro caso, applicare l’economia circolare, che si basa su un principio molto semplice: i prodotti devono essere progettati e realizzati in modo da dare luogo al minimo di emissioni incorporate e al minimo di materia da estrarre dall’ambiente; devono essere tutti prodotti durevoli, riusabili, rigenerabili e infine riciclabili.

Dobbiamo abbracciare il concetto della permanenza. L’idea, in sostanza, è che i prodotti debbano restare nelle nostre case, nelle nostre città, il più a lungo possibile, e quando proprio non ce la fanno più, allora vanno riciclati, per aver nuova materia prima. E questo processo circolare deve essere alimentato solo con energia rinnovabile.

E allora proviamo a immaginare e prefigurare la città, quella ecologica, che ospita la casa ecologica.
È una città in cui gli edifici, costruiti con materiali riciclati, riciclabili e isolanti, prodotti a zero (o basse) emissioni, sono tutti energeticamente efficienti e i loro tetti, esclusi quelli dei palazzi storici, hanno pannelli fotovoltaici.
È una città in cui tutti i servizi di uso più frequente sono a non più di 5-10 minuti a piedi da casa, il cibo proviene per la maggior parte dalle campagne circostanti, le poche auto in circolazione sono elettriche e in car sharing, le biciclette sono il principale mezzo di trasporto, subito dopo i propri piedi.

Con poche auto in circolazione, le strade si sono ristrette, lasciando più spazio al verde, per spazi di condivisione di vita all’aperto e socializzazione: la salute fisica e psicologica ringraziano.
È una città ricca di laboratori artigianali, di negozi in cui si scambiano e barattano capi di vestiario e prodotti vari, di centri in cui si possono noleggiare attrezzi o elettrodomestici di uso occasionale.
È una città in cui non esiste il concetto di usa e getta, il deposito su cauzione è la regola, perché si cerca di riusare il più possibile, i prodotti sfusi sono largamente più comuni di quelli confezionati, i rifiuti alimentari sono quasi ridotti a zero.
È una città i cui cittadini conducono uno stile di vita sobrio e che rifiuta il consumismo, sono inclini alla riparazione più che alla sostituzione, danno valore ai prodotti rigenerati e ricondizionati, spesso con creatività e quindi unici, e li preferiscono a quelli nuovi e omologati; consumano solo alimenti certificati da produzione agroecologica e carne solo raramente, e comunque proveniente da allevamenti non intensivi.

È una città in cui le acque reflue vengono trattate per la produzione di biogas e fertilizzante destinato all’agricoltura urbana e periurbana; anche i rifiuti organici sono destinati alla produzione di biogas e di fertilizzanti per i terreni circostanti.
L’acqua piovana viene raccolta e riutilizzata.
È una città nel cui metabolismo si cerca di inglobare e chiudere i cicli dei nutrienti tecnologici e di quelli organici, ricostituendo un rapporto simbiotico città-campagna.
È una città solidale e accessibile a tutti, semplice e conviviale, sana e confortevole, e non è difficile da realizzare né da mantenere e gestire. Basta volerlo.

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