Il futuro della viticoltura è nella scienza e nel miglioramento genetico dei vini. Ce lo spiega uno dei massimi esperti al mondo, il Professor Attilio Scienza.
Fabiano è cresciuto a contatto con la natura e ha imparato a rispettarla fin da piccolo, amando e temendo la montagna in ogni suo aspetto. Paesaggi selvaggi, incontaminati e straordinari, che offrono spettacoli diversi con il mutare delle stagioni, con il passare degli anni, e con l’intervento dell’uomo.
Fabiano ha deciso di documentare la storia dell’interazione tra uomo e montagna e immortalare le conseguenze visibili del progressivo sbilanciamento di questa interazione.
“I cambiamenti climatici sono il principale problema mondiale del nostro tempo, a cui si collegano le numerose emergenze ambientali, quella climatica, economica, migratoria, della perdita di biodiversità e, non ultima, quella sanitaria che stiamo vivendo in questo periodo; anche per questo ho scelto di dedicare dieci anni della mia vita all’obiettivo di costruire un nuovo modo di comunicare come sta cambiando l’ambiente che ci circonda e cosa sia necessario fare per proteggerlo e, di conseguenza, per proteggere l’umanità come specie”. Racconta Fabiano Ventura.
Nasce così nel 2009 il progetto fotografico scientifico Sulle tracce dei ghiacciai, che documenta e studia gli effetti dei cambiamenti climatici sui più importanti ghiacciai della Terra attraverso diverse spedizioni sulle principali catene montuose del pianeta. Il progetto, ideato e diretto da Fabiano Ventura, realizzato dall’Associazione Macromicro in collaborazione con uno staff tecnico-creativo e supportato da un comitato scientifico internazionale, rappresenta oggi il più ampio archivio esistente di fotografia comparativa sulle variazioni delle masse glaciali.
Sei spedizioni nell’arco di dieci anni destinate ai ghiacciai montani più importanti della Terra: Karakorum 2009, Caucaso 2011, Alaska 2013, Ande 2016, Himalaya 2018 e Alpi 2020 con l’obiettivo di sostenere studi di misurazione scientifica e di realizzare nuove riprese fotografiche dallo stesso punto di osservazione, e nel medesimo periodo dell’anno, di quelle realizzate dai fotografi-esploratori di fine ‘800 e inizio ‘900. Un cast di oltre 50 persone tra fotografi, scienziati e ricercatori, 62 ghiacciai analizzati per 164 confronti fotografici, 15 programmi di ricerca, 16 università e istituti di ricerca e 110 aziende e istituzioni coinvolte. Più che un progetto, un’odissea.
Il repeat photography si è dimostrato uno strumento eccezionale per mostrare chiaramente l’allarmante processo di arretramento dei ghiacciai di tutto il pianeta e il cambiamento di paesaggi che erano rimasti immutati per secoli. I muri di ghiaccio, alti anche centinaia di metri, hanno lasciato oggi il posto a laghi proglaciali e intere vallate, un tempo ricoperte di ghiaccio, sono ora boschi sconfinati o praterie verdeggianti.
“Non conosciamo mai il valore dell'acqua finché il pozzo non si prosciuga”, dice Thomas Fuller. Ci rendiamo sempre conto troppo tardi dell’importanza delle cose, lo capiamo solo quando esse ci vengono a mancare.
L’arretramento dei ghiacciai evidenziato dai confronti fotografici diviene così un case study, uno storytelling dilatato nel tempo per prendere coscienza delle conseguenze dell’evoluzione climatica. Il forte potere comunicativo dei confronti fotografici, unito ai risultati delle ricerche scientifiche, rappresenta un contributo allo sviluppo di una maggiore consapevolezza sull’impatto delle attività antropiche sul clima. La diffusione dei contenuti del progetto ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di salvaguardare le risorse naturali per la tutela delle generazioni future.
La missione Alpi 2020 ha portato il Team di Ventura sul massiccio del Gran Sasso, nell’Appennino abruzzese. Dopo aver attraversato tutto l’arco alpino, dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia, il Team si è spostato verso sud toccando i ghiacciai più importanti, documentando per tre giorni l’agonia del ghiacciaio del Calderone, il più a sud d’Europa, replicando le foto scattate tra fine ‘800 e primi del ‘900 dai fotografi Dino Toninelli, Enrico Abbate e Pietro Angeletti.
Il ghiacciaio, che si trova a una quota compresa tra i 2.650 e i 2.850 metri, ha iniziato a ritirarsi a partire dalla metà dell’800 ed è passato da un'area di 7,5 ettari intorno al 1916 a 4,5 ettari alla fine del secolo scorso. Il ghiacciaio del Calderone è uno straordinario luogo di osservazione degli effetti del cambiamento climatico a causa della sua bassa latitudine e continua a riscuotere l’interesse della comunità scientifica per le sue peculiarità: su questa piccola struttura appenninica è infatti possibile studiare cosa accade ai ghiacciai al momento dell’estinzione e poter fare delle previsioni più accurate sul futuro e l’evoluzione dei ghiacciai alpini.
“Guadagnata l’anticima del Corno Grande, raggiungiamo velocemente il punto da cui Enrico Abbate realizzò una delle prime fotografie del ghiacciaio il 19 settembre del 1886. Ho in mano l’immagine, mi trovo con certezza nel punto della ripresa storica, ma la morfologia della montagna è cambiata totalmente: 134 anni fa, solo qualche decina di metri sotto la Vetta Occidentale, iniziava il ghiacciaio che scendeva ampio e costante lungo tutto il vallone sottostante; oggi, invece, la parete precipita verticalmente per un centinaio di metri per raggiungere un ripido pendio composto da sole pietraie instabili che scivolano verso il profondo della conca. Il confronto è come sempre sconvolgente pensando a come sia cambiata la morfologia della montagna, non solo a livello paesaggistico ma anche per quanto riguarda la fruizione: solo 20 o 30 anni fa si poteva scendere con gli sci lungo il vallone anche nei mesi estivi, mentre ora quello che anticamente era il bacino di un piccolo ma rigoglioso ghiacciaio è una pietraia non praticabile per il rischio di caduta massi”.
Negli ultimi venti anni ha continuato a ridursi, anche se con diverse modalità a seconda delle annate, fino a raggiungere oggi quello che è con ogni probabilità il suo minimo storico.
Dal 2007, infatti, per il Calderone non si può più parlare di ghiacciaio, ma di glacionevato: un accumulo di ghiaccio di ridotta superficie e di limitato spessore, dove d’estate la fusione è così veloce che la massa ghiacciata accumulata durante l’inverno si riduce comunque.
I confini dei ghiacciai si ridisegnano, arretrano e lasciano spazio al glacionevato, alle morene, alla vegetazione.
La spedizione Alpi 2020 è stata suddivisa in due tappe, dedicate rispettivamente al versante italiano (2019-2020) e ai versanti francese, svizzero, austriaco e sloveno (2021). Con la spedizione internazionale nei mesi di agosto e settembre 2021, si è concluso definitivamente il lavoro sul campo di Sulle tracce dei ghiacciai.
Ed è iniziata la seconda fase, quella della divulgazione dei risultati nelle scuole, nei musei e in ambito scientifico. Con un obiettivo: diffondere il più possibile la consapevolezza dei mutamenti in atto e della necessità di farci carico, come individui e collettività, del futuro del nostro pianeta.
“In questi tempi, in cui si fa un gran parlare di ambiente e di clima, le parole, purtroppo, non sempre raggiungono le coscienze. Le fotografie, e in particolare i confronti fotografici, invece, possono aprire uno squarcio di consapevolezza. Un colpo d’occhio sullo stato di salute del pianeta che non lascia spazio a nessuna retorica o strumentalizzazione, perché è semplicemente la realtà a parlare. Solo cambiando le coscienze potremmo invertire una rotta altrimenti disastrosa”.
Quale la prossima avventura?
“La comunità scientifica internazionale è oggi d’accordo nel dire che i ghiacciai sono sentinelle del clima e abbiamo potuto testare dal vivo quanto le immagini abbiano un forte potere comunicativo.
Nel 2013 eravamo in Alaska. Dalla fine della Piccola età glaciale (1850) a oggi il Glacier Bay National Park ha perso 2.752 km cubi di ghiaccio; km cubi di ghiaccio che si sono riversati negli oceani, i cui livelli stanno continuando ad aumentare con conseguenze disastrose non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sociale.
Per questo motivo stiamo valutando un progetto di monitoraggio dell’erosione delle coste e sull’innalzamento degli oceani; per creare un archivio fotografico per tutte quelle zone che in futuro saranno probabilmente inondate dagli oceani. Aver sperimentato e testato l’importanza e il valore degli archivi fotografici ci ha per altro spinto a georeferenziare puntualmente tutti i punti di ripresa degli scatti che abbiamo realizzato nel progetto Sulle tracce dei ghiacciai per aiutare futuri fotografi a ripetere con estrema facilità le foto che abbiamo fatto in questi dieci anni”.
Images Credits:
© Fabiano Ventura
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