I LIMITI DELLA MATERIA, 
E DEI MATERIALI

DALL’ECONOMIA LINEARE…

La percezione della limitatezza delle risorse ha da sempre accompagnato l’uomo e lo sviluppo delle civiltà.
Con la Rivoluzione industriale, però, lo straordinario sviluppo tecnologico dell’Occidente ha fatto sì che la disponibilità di prodotti e materiali sembrasse pressoché infinita. A questo fenomeno hanno contribuito diversi fattori: il boom economico e la nascita della cosiddetta “società dei consumi”; la plastica come materiale dalle illimitate possibilità applicative, originata da una materia prima abbondante e a buon mercato come il petrolio; lo sviluppo dei trasporti di materiali e prodotti, che iniziano a spostarsi rapidamente nel mondo consentendo un approvvigionamento di risorse anche da luoghi lontani e attivando quel processo che oggi definiamo “globalizzazione”.

Questa illusione di assenza di limiti è stata quindi nel contempo causa ed effetto dello sviluppo di un modello di produzione e consumo, definito “lineare”: si produce, si usa e si butta via con cicli sempre più rapidi. È un modello che si alimenta anche grazie a un limite temporale imposto alla durata dei prodotti: cellulari che vengono sostituiti ogni anno quando va bene, collezioni moda (la cosiddetta “fast fashion”) che cambiano ogni mese, elettrodomestici che costano poco, ma durano la metà.
È un meccanismo acceleratore che non tiene conto dei limiti fisiologici di quanto il nostro pianeta sia in grado di offrire. Se questa tendenza dovesse procedere all’attuale velocità, nel 2050 ci troveremmo ad aver bisogno di due pianeti.
Ma due pianeti non li abbiamo. E dunque?

… ALL’ECONOMIA CIRCOLARE

 Una risposta possibile si chiama economia circolare. L’economia circolare si propone come un superamento dello schema lineare produco-consumo-dismetto attraverso un modello che punta a reimmettere nel ciclo produttivo la massima quantità possibile (tendenzialmente: tutto) di risorse, nella consapevolezza dei limiti che dobbiamo porci nell’usare ciò che abbiamo a disposizione. Ecco quindi una nuova generazione di materiali prodotti dagli scarti più diversi, dal tessile ai sottoprodotti dell’agricoltura o dell’industria alimentare.

Come i fondi di caffè: la startup Coffeefrom ha sviluppato un biocomposito che li reimpiega nella produzione di tazzine – da caffè ovviamente.
Ma non si tratta solo di riuso e riciclo, ma di un nuovo modo di pensare gli oggetti. Nell’elettronica, ad esempio, si va dai cellulari ricondizionati, sempre più popolari, a prodotti, come Fairphone, che si possono aggiornare sostituendo singoli elementi.

Nei prodotti usa-e-getta, dai piatti ai cotton fioc, si può pensare di sostituire la plastica con materiali biodegradabili; oppure, ancora meglio, di passare dal monouso al riutilizzabile.
Come LastSwab: progettato da una giovane designer, Isabel Aagaard, è un cotton fioc in plastica riciclata con estremità morbide in gomma che si lava e si riutilizza, come un pettine d’altronde. Una piccola idea accolta con grande entusiasmo, tanto da spingere la designer a introdurre anche altri prodotti simili, come LastTissue e LastRound, pensati per eliminare i fazzolettini di carta e i dischetti struccanti. Il motto dell’azienda: “Let’s make Reusable the Standard.

In questo filone si inserisce anche la tedesca ReCup, che propone un servizio di stoviglie riutilizzabili per bar, mense e comunità in genere, per eliminare l’uso di prodotti usa-e-getta.
Nell’abbigliamento, Patagonia da anni punta alla durabilità come argomento di vendita, fornendo un servizio di riparazione dei propri capi, ma anche istruzioni e perfino corsi per il fai da te: “Se è rotto, aggiustalo!”, si legge sul sito.
Ma l’economia circolare arriva a immaginare anche modelli di consumo diversi, come il noleggio o la condivisione di prodotti (la cosiddetta “sharing economy”).

È un tipo di fruizione che siamo già abituati a vedere nell’automobile e nei trasporti, con il car sharing (anche elettrico, come Enjoy), il car pooling (BlaBlaCar) o il noleggio a lungo termine; oppure nelle macchine da ufficio, che ormai vengono proposte come servizio in abbonamento con canone mensile. Ma anche altri oggetti di uso quotidiano si prestano a questo modello: ad esempio utensili come trapani o martelli, che tutti abbiamo in casa ma che usiamo, quando va bene, un paio di volte l’anno.

Se il modello circolare dunque parte da un limite – quello dato dalla finitezza delle risorse – dall’altro arriva a immaginare dei prodotti che sfondano il limite del tempo, creando un loop potenzialmente infinito, pensando al limite come stimolo per un cambiamento in positivo.

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