Design for all: un futuro sostenibile, per tutti

Limite, dal latino limes, limitis, ci ricorda la frontiera dell’Impero romano tra Reno e Danubio nel secondo secolo.
Ma il limes non era una frontiera invalicabile, anzi: era una zona permeabile, di forte interscambio, dove passavano persone e merci.

Bene: ma questo cosa c’entra con il Design for All?
Il Design for All è una disciplina che rifiuta il concetto di frontiere invalicabili, riconoscendosi molto bene in quello del limes permeabile.
Il DfA è eternamente alla ricerca delle sfide del domani, quelle sfide che la nostra società a volte ci offre con un certo anticipo, come il cambiamento climatico, ma a volte fa esplodere senza preavviso, come la pandemia.

Il concetto di Design for All nasce circa 30 anni fa come evoluzione del progettare accessibilità e migliorare la vita delle persone con disabilità.

Autogrill Villoresi EST (certificazione Design for All), 20015

PER MOLTI MA NON PER TUTTI

Ci si è presto resi conto che dei progetti ad hoc creano discriminazione, come se l’infinita varietà di questa parte della popolazione costituisse una comunità separata e non facesse parte del “tutto” sociale.

Nasce così l’idea di non creare progetti pensati per gruppi facilmente identificabili, che con troppa leggerezza rischierebbero di essere considerati ghetti, ma di progettare partendo dal presupposto stesso che l’umanità è variegata, che ogni individuo è diverso.
Questa idea è stata il primo momento di confronto con le frontiere invalicabili che circondavano e delimitavano il progetto tradizionale, convertendole in limites permeabili. Permeabili a omnes, con creatività e innovazione.

Nella società della produzione di massa, il migliore progetto tradizionale si è sempre rivolto a una specifica fascia di popolazione, identificandosi con utenti generici di una popolazione ideale di maschi venticinquenni in perfetto stato di salute, baciati da una fortuna surreale, non soggetti a invecchiamento o infortuni, che non avranno mai una gamba ingessata né mal di schiena e che, in quanto uomini, non saranno mai sbilanciati da un pancione da gravidanza. Il resto del mondo si adegua, affrontando “una eterna corsa agli ostacoli” (Paul Hogan, fondatore EIDD, 1993).

Ma il mondo ha preso oggi le distanze da quel tipo di progettazione, quando Henry Ford diceva che si poteva scegliere il Model T in qualsiasi colore, purché fosse nero.

Ha preso il sopravvento la corrente della customizzazione, della personalizzazione, e chi progetta si è messo in ascolto. E questo ascolto ha portato alla luce un mondo di differenze: non più un tutti gli utenti in generale, ma un tutti gli utenti fatto da ogni utente.

Bagni del nuovo ADI DESIGN MUSEUM, 2021

Posate per tutti
(segnalazione compasso d’oro/prototipo Alessi), 2018

Sala di attesa alla Clinica Mangiagalli/Policlinico di Milano (certificazione Design for All), 2018

L’INCLUSIONE SOCIALE

Ma come è possibile conciliare una produzione di massa, necessaria all’economia di scala, con la personalizzazione per le esigenze e i desideri della diversità umana?
La metodologia Design for All è la risposta.

A questo proposito, mi permetto di inserire qui una lunga citazione dalla Dichiarazione di Stoccolma:

“Design for All è il design per la diversità umana, l’inclusione sociale e l’uguaglianza (...). Lo scopo del Design for All è facilitare per tutti le pari opportunità di partecipazione in ogni aspetto della società. Per realizzare lo scopo, l’ambiente costruito, gli oggetti quotidiani, i servizi, la cultura e le informazioni – in breve ogni cosa progettata e realizzata da persone perché altri la utilizzino – deve essere accessibile, comoda da usare per ognuno nella società e capace di rispondere all’evoluzione della diversità umana. La pratica del Design for All fa uso cosciente dell’analisi dei bisogni e delle aspirazioni umane ed esige il coinvolgimento degli utenti finali in ogni fase del processo progettuale.”
Dichiarazione di Stoccolma dell’EIDD – Design for All Europe, 2004.

Sono passati oltre 17 anni dalla Dichiarazione di Stoccolma e oggi preferiamo parlare non più soltanto di “utenti finali”, ma di “experiencer”: tutti coloro che in seguito al vissuto personale hanno esperienze da suggerire al progettista per meglio raffinare e calibrare il suo progetto.

Ma torniamo a parlare del limes, delle frontiere permeabili del progetto.
30 anni fa la nostra preoccupazione ha preso spunto dall’esigenza dell’inclusione sociale delle persone con disabilità, ma nel tempo si è evoluta per comprendere l’eterogeneità intera: prima la popolazione in via di invecchiamento, poi i migranti, le comunità etniche e religiose, sia residenti che magari semplicemente in visita turistica.
E non parliamo solo di spazi e prodotti, ma anche di cultura e formazione (ad esempio la Master Class organizzata dall’Associazione +Cultura Accessibile a Palazzo Reale, Torino). Design for All Italia che si è anche strutturata come ente di certificazione della qualità del processo progettuale e fornisce un servizio di certificazione con il Marchio di Qualità Design for All.
Quali, dunque, i limiti da non superare?
Design for All mira a superare ogni limite che rallenti o impedisca il benessere umano e l’inclusione sociale, in linea con i concetti espressi dai precetti di sostenibilità sociale, proiettati verso un orizzonte di futuro sostenibile.
Per tutti.

Pompei inclusiva
Il “Percorso Pompei Per Tutti” attraversa le arterie principali della città con accesso ai più significativi edifici e domus. Oltre 3,5 km di percorso consentono alle persone con disabilità motorie di visitare l’area archeologica nella maniera più completa e agevole possibile.

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