La biodiversità 
agroalimentare e il turismo enogastronomico

È davvero delicato l’equilibrio che ci permette quotidianamente di vivere.

I corpi si devono adattare in continuazione alle forze esterne che li sollecitano; in realtà si tratta di una dinamica costante. Questo avviene naturalmente nel nostro corpo, ma anche al di fuori di noi, in natura. Quello a cui però stiamo assistendo al giorno d’oggi è una costante perdita di quegli equilibri che da decenni sembravano assodati.

La biodiversità, infatti, che contribuisce in maniera decisiva alla vita è oggi minacciata: sono a rischio un gran numero di piante e animali, insieme a fondamentali processi della natura, come l'impollinazione degli insetti e la rigenerazione del suolo attraverso i microrganismi, che vanno a mettere in crisi gli equilibri antichi.[1]

Parlare di sostenibilità, perciò, non è solo una moda, ma una necessità a cui tutti i settori devono appunto “adattarsi” rinnovando il proprio approccio. Questo vale anche per la biodiversità agroalimentare e il turismo enogastronomico, ambiti dove molto si sta facendo, ma dove ancora molto credo si possa fare.

Il turismo enogastronomico può rappresentare uno strumento per uno sviluppo sostenibile delle destinazioni e delle aree rurali limitrofe, avvicinando produttori, ristoratori, operatori del turismo e consumatori, contribuendo ad accorciare la filiera agroalimentare e, quindi, generando benefici diffusi sul territorio.
A tale scopo, appare opportuno stimolare la diffusione di pratiche enogastronomiche sostenibili di produzione e consumo di cibo più attente all’impatto ambientale, sociale, culturale ed economico. E che, oggi, rappresentano un’importante leva turistica.[2]

Si tratta di una necessità, che anche dati molto recenti ci vanno a confermare, non solo come leva di sviluppo locale, ma proprio perché richiesta dal turista stesso.
Penso al 10° Rapporto Gli italiani, il turismo sostenibile e l’ecoturismo, realizzato dalla Fondazione UniVerde in collaborazione con Noto Sondaggi. Questo, pubblicato proprio pochi giorni fa, ci informa che cresce all’83% la percentuale sul livello di conoscenza della definizione di “turismo sostenibile”.[3]

Tale tendenza è confermata anche dalla nostra ricerca, in cui abbiamo visto che: nella scelta della meta del viaggio alcuni elementi considerati nel processo decisionale sono la qualità delle produzioni (indicato come importante dal 54% dei viaggiatori), la sostenibilità di strutture ed eventi (50%) e la disponibilità di prodotti biologici (46%).[4] Analoghi risultati sono stati riscontrati nella precedente edizione del rapporto (Garibaldi, 2018).

Mi viene in mente il caso di Michelin e del suo Trifoglio Verde: è stato adottato come simbolo un macaron verde o un trifoglio a 5 petali che ricorda la stella Michelin, destinato agli chef che professano la sostenibilità in cucina. Lo abbiamo visto assegnare in passato a 50 chef francesi durante la presentazione della Guida Michelin e delle nuove stelle. E lo abbiamo visto di nuovo nei Paesi nordici con l’assegnazione del Michelin Nordic Countries Sustainability Award 2020.

Ora anche l’Italia potrà identificare facilmente i ristoranti che si impegnano per un approccio di sostenibilità della cucina e con il rispetto dell’ambiente.

È importante dunque comprendere quali sono i diversi ambiti verso cui adottare scelte di sostenibilità consapevoli e che queste sono composte da numerosi elementi. Bisogna lavorare sull’insieme di cultura, persone, ambiente, prodotti, attività, politiche e progetti – che io chiamo “paesaggio enogastronomico”: è il luogo in cui il turista compie l’esperienza e ciò con cui interagisce.

Si viene ad aprire una nuova sfida: sviluppare modelli sostenibili e di garanzia della qualità, non solo delle produzioni, ma dell'intero paesaggio.

[1] www.fao.org/3/y5418i/y5418i00.htm

[2] Garibaldi R., 2020, Rapporto sul turismo enogastronomico italiano

[3] Fondazione UniVerde, 2020, Gli italiani, il turismo sostenibile e l’ecoturismo

[4] Garibaldi R., 2019, Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano 2019

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